Concluso il discorso missionario, Matteo annota: «Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città» (11,1). Il Signore non è venuto per alcuni, ma per tutti, perché ognuno abbia la vita in abbondanza (cf Gv 10,10). E così noi cristiani, non amiamo solo alcuni, ci stanno a cuore tutti; ad ognuno che incontriamo siamo chiamati a donare amore, a far conoscere Gesù con la nostra vita. I miei parenti, gli amici, i colleghi di lavoro, sperimentano anche attraverso me la vicinanza di Dio?
Dopo aver rimproverato la sua generazione rimasta indifferente alla predicazione del Battista e alla sua (Mt 11,16-24), Gesù innalza una preghiera di lode perché il Padre ha scelto di farsi conoscere dai piccoli, cioè persone semplici che si fidano di Dio e riconoscono che senza di Lui non possono fare nulla (cf Gv 15,5).
I sapienti e i dotti, invece, sono quelle persone che presumono di bastare a sé stesse, che pensano di non aver bisogno di nessuno, nemmeno di Dio e non si aprono alla Sua parola.
Il Signore continua con un invito per ciascuno di noi: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Queste parole arrivano in un momento particolare dell’anno, quando la stanchezza del lavoro si fa più pesante e dopo questa grande chiusura a causa della pandemia che ancora non passa. Venite a me! Parole che Gesù dice con dolcezza, lui che scruta i cuori (cf Rm 8,27) e vede i nostri affanni, ci invita a trovare in lui il ristoro che cerchiamo. Rischiamo di essere schiacciati dal peso degli affanni, allora il Signore chiede di unirci a Lui, ci offre il suo giogo – arnese che serve per sfruttare al meglio la forza, che aiuta ad avere lo stesso passo, a seguire la stessa direzione. Stando sotto lo stesso gioco, la forza di Gesù si unisce alla nostra, la sua via diventa la nostra, i nostri pesi i suoi pesi, i nostri affanni i suoi affanni e così gli permettiamo di donarci il ristoro del suo amore. Pensiamo anche alle tante persone che stanno sotto il peso della malattia, del dolore, dell’indifferenza, della disoccupazione, della precarietà, della discordia… Per quanto possiamo, facciamo arrivare loro questo invito di Gesù attraverso la nostra accoglienza, la nostra vicinanza.
«Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Impariamo da lui la mitezza, cioè ad essere dolci, mansueti, gentili, a non reagire con violenza, a farci prossimo di chi ha bisogno, a condividere, come fa Gesù, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di chi incontriamo (cf GS 1). Da Gesù impariamo l’umiltà che non è una falsa modestia. L’umile riconosce i doni che ha ricevuto e si abbassa verso gli altri per aiutarli, per farli stare bene. L’umile sa accettare la correzione perché sa di non essere perfetto; sa affidarsi a Dio perché sa di non essere onnipotente; sa chiedere perdono perché riconosce di essere peccatore. San Francesco dice di Dio non solo che è umile, ma che è Umiltà: proprio perché è l’Onnipotente che si abbassa continuamente verso di noi. Infatti, da ricco che era si è fatto povero per arricchirci (cf 2Cor 8,9). Perciò non esitiamo ad andare da Gesù, troveremo ristoro per le nostre anime.
don Alfonso Lettieri