Il mistero dell’ascensione che oggi celebriamo ci aiuta a riflettere su una verità fondamentale della nostra vita, verità che già la sapienza popolare coglie in parte quando dice: «siamo di passaggio in questo mondo». Sì, ma non è un semplice passaggio. Noi cristiani, infatti, siamo pellegrini, cioè abbiamo una meta da raggiungere, siamo in cammino verso una pienezza. Gesù si è fatto uomo, è morto ed è risorto non per restare qui: dopo quaranta giorni «È salito al cielo e siede alla destra del Padre» per portarci con lui nella pienezza della vita, dove ha preparato un posto per ciascuno: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3)[1].
Gesù risorto resta quaranta giorni con i suoi discepoli, per dare loro la ferma certezza che «era veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto» (san Leone Magno).
L’ascensione ci ricorda che noi siamo fatti per l’eternità; oggi Gesù ci dà «la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (Prefazio).
Cosa ci dona questa certezza? Non ci fa stare immobili a contemplare il cielo, ma ci aiuta a vivere meglio il nostro pellegrinaggio terreno, a verificare se i nostri pensieri, le nostre scelte ci fanno camminare verso il paradiso o ci allontanano. Camminare e tener presente la nostra meta, ci dà la forza per affrontare ogni cosa, dà un senso, un perché a tutto ciò che facciamo e ci aiuta a farlo con amore, ci aiuta a vivere con libertà ogni cosa, a non attaccare il cuore in modo esagerato alle ricchezze, alle cose che abbiamo, sapendo che avanziamo verso la meta non per ciò che abbiamo, ma per l’amore che spendiamo in ogni cosa.
Non si tratta, dunque, di disprezzare questa vita, ma di dare il giusto peso a tutto, di avere un orientamento, un punto di arrivo, di vivere con gratuità, senza l’ansia di accumulare; di vivere con la libertà dei figli di Dio, disposti anche a perdere qualcosa, certi che abbiamo già ricevuto tutto. L’ascensione di Gesù ci aiuta a vivere il vuoto lasciato dalla morte delle persone care: ne sentiamo il dolore, la mancanza – questo è inevitabile – ma non ci disperiamo perché sappiamo che hanno solo completato il loro pellegrinaggio terreno, ci hanno preceduto, stanno occupando quel posto che Gesù ha preparato per loro e un giorno li rivedremo, staremo con il Signore e con loro, al posto preparato per noi.
In questo cammino non siamo soli, Gesù resta sempre l’Emmanuele, il Dio con noi, egli sta «al cospetto di Dio in nostro favore» (II lettura) e ci dona il suo Spirito, il Paraclito (cf Gv, 16,7), la forza che ci rende testimoni di tutto questo nella vita quotidiana: a casa, nei luoghi di lavoro, nella nostra città… Affida a tutta la Chiesa, a ciascuno di noi, la missione di annunciare il Vangelo, di far arrivare a tutti la sua benedizione. Impariamo a bene-dire, come Gesù bene-dice noi, portiamo alla luce il bene presente ovunque, in ogni persona, diciamo con la nostra vita [testimonianza] che Dio è con noi e ci sostiene in ogni momento.
Quando Gesù si «staccò da loro», «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». La tristezza della partenza è vinta dalla certezza che «Gesù resta per sempre con loro, non li abbandona e, nella gloria del Padre, li sostiene, li guida e intercede per loro» (Papa Francesco).
Oggi si celebra la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: Ascoltare con l’orecchio del cuore. «L’ascolto – dice il Papa –, in fondo, è una dimensione dell’amore» e richiama la nostra attenzione «a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo». E afferma: «Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità».
Questa settimana che oggi si apre ci porta alla Pentecoste; invochiamo, con Maria, su noi, sulla Chiesa e sul mondo il dono dello Spirito: ci doni «un cuore che ascolta» (1Re 3,9) e ci renda forti e coraggiosi nella testimonianza del Vangelo.
don Alfonso Lettieri
[1] «Per questo la Chiesa si sente pellegrina e forestiera nel mondo, come realtà che non ha nel contesto presente quella “dimora eterna” (2Cor 5,1), che ci attende invece nei cieli, ed è pertanto proiettata verso la città futura» (CEI, Il pellegrinaggio alle soglie del terzo millennio, n. 11).