«Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una Chiesa locale. Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo riguardo. Dio continua a chiamare i giovani, ma spetta a noi incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata. D’altra parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata».Lo diceva Benedetto XVI dieci anni fa – mercoledì 16 aprile 2008, presso il Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington, D.C. – in un incontro con i vescovi durante il viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America.«Perché una Chiesa non la si organizza, ma la si genera nella fecondità dei carismi», ricorda il vescovo di Acerra Antonio Di Donna in Cattedrale lo scorso 29 giugno, da quando la nostra Chiesa è «in festa per il dono di un nuovo sacerdote», don Antonio Insidioso, 31 anni. Monsignor Di Donna, mentre lo ordina, si dice «lieto di accogliere nel presbiterio diocesano di Acerra il nostro giovane fratello Antonio», e ringrazia il Signore «insieme a monsignor Giovanni Rinaldi, vescovo emerito, e a tutti i presbiteri diocesani».Ma «con lui gioiscono i genitori di Antonio, che saluto e ringrazio per il dono che essi fanno alla Chiesa di un loro figlio»; gioiscono «i suoi familiari, gli amici, i compagni di seminario, i superiori». In particolare, gioisce il suo padre spirituale, Domenico Marafioti. Istituzione e carisma E non è un caso, continua il vescovo, che l’ordinazione avvenga «in una festa solenne, la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, due colonne della Chiesa, due apostoli, dai quali – dice la liturgia – abbiamo ricevuto il primo annuncio della fede». Due figure di «primo piano nello sviluppo della fede, diversi ma uniti in gioiosa fraternità dal forte amore per il Signore suggellato dal martirio per entrambi». Pietro, con l’incarico di guidare e confermare i fratelli; Paolo, l’apostolo chiamato a portare il Vangelo alle genti, ai pagani. A partire da questo «stupefacente modo di agire di Dio – che affida dei compiti così impegnativi a due uomini: l’uno, Pietro, che non saprà resistere nell’ora della prova e rinnegherà il Maestro; l’altro, Paolo, il brillante fariseo, già persecutore dei cristiani, ma chiamato ad essere strumento scelto per portare ai pagani il vangelo» – monsignor Di Donna ricorda al giovane sacerdote il compito di «collaborare con il vescovo a edificare la chiesa di Acerra: come pastore del popolo di Dio e come missionario, tenendo insieme – senza mai separarli o assolutizzare l’uno rispetto all’altro – stabilità e movimento», perché «una Chiesa non è un’azienda, non è una ditta e non la si organizza, bensì la si genera nella fecondità dei carismi», dice il presule ad Antonio.Lo ricorda «il prefazio» della Messa che si celebra: «Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo; Paolo che illuminò le profondità del mistero. Così – continua – essi con doni diversi hanno edificato l’unica chiesa». E’ il modo con cui «si edifica l’unica chiesa: con la stabilità della roccia, Pietro; e con il movimento, l’annuncio del vangelo, Paolo. Istituzione e carisma, mai separati». Stupore Di Donna esorta dunque i presenti a «riflettere attentamente, alla luce della festa di oggi, a quale ministero questo nostro fratello Antonio sarà elevato». Un «ministero che noi chiamiamo ordinato, finalizzato a costruire, a edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa», e per il quale «Antonio predicherà il vangelo, presiederà l’eucarestia, il sacrificio del Signore, e rimetterà i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa». E continua: «Carissimo Antonio, riconosci la tua dignità. Abbi sempre, ogni giorno, stupore verso il dono che stasera viene posto nelle tue mani. Non fare mai l’abitudine ad esso nella routine massacrante delle ore e dei giorni. Renditi sempre conto di ciò che sei e fai. Imita ciò che celebri, conforma la tua vita al mistero della Croce di Cristo Signore». E «consapevole di essere stato scelto fra gli uomini e costituito in loro favore, non per te stesso ma per attendere alle cose di Dio, esercita questo ministero in letizia e carità sincera, intento, ricordati sempre, a piacere non a te stesso, non agli uomini, ma soltanto a Dio, al Signore», con «sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito ma per servire, cercare e salvare ciò che era perduto». Strumenti Per incarnare «il volto rinnovato del presbitero», il «caro Antonio» potrà contare su «quel mirabile documento del Concilio Vaticano II che è la Presbyterorum ordinis, il decreto sulla vita e ministero del presbitero», ma anche su quanto «sta indicando continuamente da cinque anni Papa Francesco, e con lui la chiesa italiana», che ha pubblicato nel 2018 «un pregevole sussidio sulla riforma del clero: Lievito di fraternità». Richiamandone i «capitoli» – il prete, costruttore di comunità; strumento della tenerezza di Dio; nella profezia della fraternità sacerdotale; l’amicizia con il Signore; non burocrate o funzionario; e infine, l’ultimo capitolo: con la gioia del vangelo – monsignor Di Donna esorta Antonio ad essere «prete dal cuore buono, amabile con tutti, sempre accogliente, sereno; mai nervoso, scostante, irascibile, suscettibile, ma servo premuroso del popolo con uno stile di vita povero, sobrio, essenziale», ricordando «da dove provieni, la tua famiglia, le tue radici e origini», per vincere l’imborghesimento e «la tentazione forte della mediocrità, di quel vizio capitale antico, oggi attualissimo, che è l’accidia, di quella rassegnata indifferenza che spinge anche il sacerdote a fare lo stretto dovuto», e trovare «entusiasmo e passione nel tuo ministero», senza «prenderti troppo sul serio» ma conservando «vivo il senso dell’umorismo» con la «bella preghiera del buon umore di san Tommaso Moro: “Dammi o Signore una buona digestione e fammi sorridere anche dei mali della vita”». Comunione Soprattutto, Di Donna raccomanda «due cose: la comunione con me – il vescovo, chiunque egli sia – e con il presbiterio». Perché «la mancanza o la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia pratica che deturpa il volto del Signore e dilania la sua chiesa». Non a caso il Concilio ricorda che «tutti i presbiteri sono uniti tra loro dalla fraternità sacramentale» e «formano un unico presbiterio». Diversi, come Pietro e Paolo, ma tutti provenienti da quel grembo della madre chiesa che genera tutti. Perciò «un cristiano, e ancor più un sacerdote, da solo è nullo, non esiste, è un assurdo». E dunque l’appello del vescovo ad Antonio: «Abbi e coltiva relazioni fraterne – pur nella differenza di sensibilità, come Pietro e Paolo – con gli altri presbiteri. Non appartenere a congreghe o cordate, che talvolta ci sono in mezzo a noi». Con l’invito a guardare all’«unico presbiterio anzitutto» e poi alle «relazioni amicali», senza «disertare mai gli incontri di presbiterio, perché nella contabilità con il Signore ti sarà chiesto più conto probabilmente della fraternità sacerdotale che non del tuo lavoro» e «vivere la comunione del collegio presbiterale è più importante che lasciarsi assorbire dal proprio lavoro: vale più il poco fatto insieme che il molto fatto da solo». Vicino al popolo E ancora, continua il vescovo, «sii pastore vicino al popolo di Dio. Un prete, come usa dire Papa Francesco, con l’odore delle pecore: davanti al gregge, per guidarlo; in mezzo al popolo, per condividerne le gioie e i dolori; e dietro il gregge, per evitare che le pecore si smarriscano ma anche per seguire il sensus fidei del popolo». «Annuncia il vangelo a tutti», esorta il presule cercando di mettere al riparo il nuovo sacerdote dalla tentazione di limitarsi «alla cura di quelli che vengono», che «diventano sempre di meno». Perciò «và, esci, muoviti, cammina, gira di casa in casa, di piazza in piazza, di strada in strada. Non chiuderti nelle sacrestie degli uffici parrocchiali, riscalda i cuori», e sull’esempio di Gesù, «sii vicino soprattutto ai tanti della comunità che hanno il cuore ferito», esorta il preule. Misericordioso Monsignor Di Donna chiede ad Antonio di essere un «prete misericordioso», che «rimette i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa», che «non vuol dire essere indulgente dalla manica larga», ma è invito a farsi «autorevole, ma non autoritario», a mostrarsi «fermo, ma non rigido», per «non caricare, come i farisei, sulle spalle della gente pesi che non possono sopportare», e ricordando sant’Ambrogio: «Dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore, dove c’è la rigidità, ci sono soltanto i suoi ministri». Formazione L’esortazione finale del vescovo ad Antonio è la «formazione personale», con l’invito a trovare il «tempo» necessario, la «voglia» e il «desiderio» di curarla. Una formazione anzitutto «umana», perché «la gente deve percepire» che il prete è un «suo fratello», anche se «diverso», un prete «umano nei tratti, nelle relazioni e nelle considerazioni degli altri». Poi quella spirituale: «Non tralasciare mai la preghiera», e «intellettuale», fatta di «studio» e «approfondimento», senza l’illusione di «vivere di rendita per tutta la vita con quel poco di teologia studiata negli anni di seminario», perché «il mondo va avanti, le sfide sono tante ed esigono da noi, ministri del vangelo, un’adeguata preparazione intellettuale, spirituale e pastorale», che è «lo specifico del prete diocesano rispetto ai religiosi o ai monaci», in quanto «pastore capace di guidare il popolo di Dio con l’arte delle arti che è l’arte pastorale». Per Di Donna, che cita il prof. Cencini, «l’alternativa alla formazione permanente è la frustrazione permanente, frutto della percezione di sentirsi un ministro non all’altezza degli uomini di questo tempo». Protezione Infine, insieme all’invito a vigilare «su te stesso», a disciplinare gli «affetti» e a «non deviare mai da quella promessa di essere tutto di Cristo, dal cuore indiviso e pieno di amore solo verso di Lui», il vescovo Antonio Di Donna affida il nuovo sacerdote «all’intercessione della Vergine Maria, dei santi apostoli Pietro e Paolo, dei nostri patroni Sant’Alfonso e i santi Cuono e figlio, e del beato Vincenzo Romano, sacerdote vissuto a Torre del Greco tra 700 e 800, parroco santo dal prossimo 14 ottobre, sulla cui tomba ci siamo recati in pellegrinaggio l’altra settimana». Antonio Pintauro La biografia Originario di Napoli, 31 anni, don Antonio Insidioso è il secondo di tre figli. Perito costruttore aeronautico e disegnatore progettista, nel 2005 ad Assisi riconosce Dio nella sua vita. L’incontro con Gesù, la ricerca vocazionale tra domande e dubbi, accrescono in lui il desiderio di consacrarsi al Signore. Dopo il discernimento, lascia fidanzata e lavoro e si forma fino a giugno 2016 nel Seminario arcivescovile di Nola, in quello campano interregionale a Posillipo e in quello arcivescovile di Napoli a Capodimonte. Dopo il sesto anno nel Seminario di Acerra, a maggio 2017 è ordinato diacono da monsignor Di Donna. Di profonda vita spirituale e buona maturità umana, don Antonio collabora con il Centro diocesano vocazioni e l’Ufficio di pastorale giovanile, ed è attualmente in servizio alla parrocchia sant’Alfonso di Acerra.