Quella notizia, da quando ha cominciato a rotolare giù dalla collina del Golgota alle prime ore di quel primo giorno della settimana, continua a fare il giro del mondo da un capo all’altro della terra. Quella notizia riguarda un certo Gesù di Nazareth, morto due giorni prima su una Croce fuori le mura di Gerusalemme. Di questo Gesù si dice che «si è alzato, è risorto». E’ la notizia più interessante che mai ci sia stata nella storia, e mai ci sarà. Un avvenimento del genere non si era mai sentito a memoria d’uomo, né mai più si sentirà fino alla fine del mondo.E’ la più attuale delle notizie: dopo duemila anni non ha perduto la sua freschezza! Ed è una notizia sconvolgente, sbalorditiva, al punto che quando Pietro il giorno di Pentecoste, alcune settimane dopo i fatti, proclama: «quel Gesù che voi avete crocifisso Dio lo resuscitato e noi ne siamo testimoni», la reazione del pubblico non si fa attendere: «roba da matti, questi discepoli del Nazareno sono tutti ubriachi!».E in effetti, la risurrezione di Gesù Cristo fa la differenza: la fede cristiana sta o cade con essa. E se la notizia è vera, allora cambia tutto, perché ad essere risorto non è un uomo qualunque, ma colui che è stato crocifisso, che è stato condannato ufficialmente come bestemmiatore secondo la legge ebraica, cioè uno che si è fatto uguale a Dio e ha predicato un Dio diverso; ed è stato condannato anche come sobillatore del popolo, cioè terrorista secondo la legge romana. La posta in gioco è davvero alta, anche perché quando si professa che Gesù, il Crocifisso, è risorto, non si intende dire che Lui è vivo nel ricordo e nel cuore dei discepoli come talvolta si dice dei cari defunti che vivono nel nostro affettuoso ricordo: «tu rimarrai sempre nei nostri cuori»; né si vuol dire che Egli è vivo come un maestro nel suo messaggio, perché non è mai esistito un cristianesimo che abbia affermato come primo messaggio, ad esempio, “amiamoci gli uni gli altri” oppure “Dio è Padre di tutti” o simili. Anzi, è vero il contrario: dalla notizia, «Gesù è veramente risorto», derivano tutte le altre parole e il messaggio del vangelo. Del resto uno che ha detto: «beati i poveri, quelli che piangono, i perseguitati per la giustizia», e ha detto «amate i vostri nemici», o addirittura ha presunto dire «io sono la verità», se non fosse risorto sarebbe semplicemente un pazzo, un fanatico.Chi può avere la pretesa di dire queste cose così assurde?Neanche si vuole dire che Egli è vivo, come si definiscono immortali, con una buona dose di retorica, i grandi della storia. Proviamo allora a rilanciare questa notizia formulandola per assurdo: cosa sarebbe successo se Cristo non fosse risorto? E’ il ragionamento di Paolo con i cristiani di Corinto: «se Cristo non è risorto, la vostra fede risulta infondata, se Cristo non è risorto allora neanche noi risorgeremo; se Cristo non è risorto – continua Paolo – allora noi siamo ancora impantanati nella palude dei nostri peccati; se Cristo non è risorto, e neanche i morti risorgono, allora mangiamo e beviamo perché tanto domani moriremo». Ecco cosa sarebbe successo se Cristo non fosse risorto. Primo, la vicenda di Gesù di Nazareth sarebbe stata una bella storia ma finita male: se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo nemmeno credere che Dio è Padre, come diciamo e amiamo dire. Perché proprio per aver predicato un Dio così un Dio diverso, Gesù è stato crocifisso.Se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo ricevere il suo spirito. Se Cristo non fosse risorto non ci sarebbe nemmeno la sua comunità, la sua chiesa, la quale si ridurrebbe ad una organizzazione umana e sarebbe morta il giorno dopo essere nata. Se Cristo non fosse risorto, la storia sarebbe, per dirla con William Shakespeare, la favola raccontata da un idiota, senza alcun fine, la vita non avrebbe alcun senso e sarebbe, ha detto un altro scrittore ateo, come un pacco postale spedito dall’ostetricia all’obitorio. Cristo è risorto, è questa la nostra fede. Ma si tratta di un evento di morte e risurrezione.Amiamo cercare storie di morte e di risurrezione insieme, come quella che è rimbalzata nelle scorse settimane nella cronaca e che io ho avuto la gioia di sperimentare ed incontrare nei giorni scorsi quando sono andato a trovarli nella loro fabbrica. Si tratta di dodici lavoratori licenziati nove anni fa, che pur non originari hanno trovato ad Acerra il capannone dove hanno rilevato la loro azienda: macchinari comprati all’asta con il proprio Tfr e i propri risparmi. Hanno ricevuto sabotaggi, un incendio e tante difficoltà. Ma dopo una strada impervia che sembrava irta di spine, questi dodici operai di Screen Sud ce l’hanno fatta. Ora la fabbrica di Acerra è di loro proprietà, fattura due milioni all’anno e va a gonfie vele. L’hanno acquistata con la liquidazione di quindici anni di lavoro, sborsando anche l’anticipo di mobilità e con l’aiuto di altre cooperative.Il coordinatore dice al quotidiano Repubblica: «E’ bello, non trovo le parole, ti alzi da casa tua al mattino e vieni qui e trovi più energie nel tuo lavoro perché lo fai per te». Questi operai lavorano in un capannone di 1.800 metri quadri nella zona Asi di Acerra, su due turni. La stanchezza lascia il posto ai sorrisi, ai caffè bevuti insieme al distributore, anche alle dieci di sera, con la schiena spezzata. Hanno dai 36 ai 50 anni non ancora compiuti. Certo non è tutto rosa e fiori. Ci sono anche screzi, ma si superano. Il loro, affermano, è «un matrimonio a 12». Dice Raffaele: «Io ero il capitano, ho dovuto scegliere se vivere o morire e ho chiamato sulla scialuppa di salvataggio i colleghi con cui potevo collaborare. So che se ci sono difficoltà, chiedo ai miei compagni di rinviare lo stipendio per pagare un fornitore, e mi dicono di sì».La cooperativa produce telai in acciaio per il mercato italiano ed anche estero. Erano in 50, quando a Nola, lavoravano per una società poi fallita e messa in liquidazione. Non tutti hanno risposto all’appello della cooperazione: solo in 12 ci hanno creduto e si sono salvati dalla disoccupazione con le loro mani. Ma, per farlo, hanno dovuto scalare montagne. Ognuno ha investito dai 7 ai 25 mila euro di Tfr. Con l’indennità di mobilità e il Tfr hanno portato il capitale sociale a una certa cifra. Altri hanno creduto in loro e li hanno aiutati. «Dopo il concordato fallimentare – ricorda un operaio – le nostre macchine e il magazzino sono stati messi all’asta e noi abbiamo preso il coraggio a due mani e abbiamo partecipato. Il giudice ci ha concesso il diritto di prelazione. Ma non eravamo mai entrati in un tribunale ed eravamo inesperti dei meccanismi di asta».Al tribunale si presentano in 12, dopo una notte insonne. Ad affrontarli l’avversario più temuto, venuto apposta da Torino. Due, tre rilanci all’asta, il cuore in gola e alla fine vincono i lotti a cui sono interessati. Stappano due bottiglie di spumante fuori dall’aula e spuntano i primi sorrisi. Ma l’odissea non è finita. Stentano ad arrivare i soldi del Tfr. Gli uffici locali dell’Inps sono in ritardo e loro, gli operai, senza risorse. «Eravamo a 60 giorni dalle scadenze dovevamo pagare le prime forniture e non avevamo soldi, siamo andati ogni mattina alle 7 davanti agli uffici dell’Inps a protestare». Risolto il nodo Inps ma la strada è ancora tutta in salita. Prima i sabotaggi, i furti all’interno del capannone di Nola. Poi, a pochi giorni dall’inaugurazione, la fabbrica prende fuoco. «Quelle fiamme le sogno ancora di notte – dice uno di loro – è stato un incubo, pensavamo di aver perso tutto. Abbiamo dovuto aspettare altri sei mesi. E questo ha voluto dire altri soldi. Abbiamo trovato un altro capannone ad Acerra. Abbiamo partecipato ai lavori, per accelerare. E un altro aggiunge: «Un percorso a ostacoli difficilissimo, abbiamo lottato anche a casa nostra. Mia moglie mi diceva: “Trovati un altro lavoro”. Io sempre nervoso: avevo molta paura ma ho deciso di rischiare perché mi fidavo dei colleghi. Il momento più bello è quando siamo entrati qui, ad Acerra – ricorda ancora un altro – anche se non eravamo ancora partiti. Ho respirato, dopo 3 anni senza lavoro. Spero che il nostro esempio possa aiutare altri in Campania».Ecco una bella storia di morte e risurrezione. Speriamo di raccontare prossimamente, a Dio piacendo, una molto simile a questa: la storia di un piccolo gruppo di cassintegrati della Montefibre che si sono rimboccati le maniche e stanno risalendo la china: hanno messo anche loro i propri risparmi, con la solidarietà di alcuni, soprattutto della Chiesa con l’otto per mille. Sono storie belle di morte e risurrezione, proprio come l’evento di Pasqua che stiamo celebrando. Proprio stamattina su Il Mattino leggo un’altra storia bella che riguarda la nostra città. Mariafelicia De Laurentis, una donna di Acerra, fa parte del gruppo di scienziati che ha catturato l’immagine del buco nero. Una scienziata credente e praticante, che nell’intervista al Quotidiano dice di essere stata incoraggiata a suo tempo dal nostro don Riboldi.Ecco, storie di morte e di risurrezione, storie di Pasqua del nostro oggi.
Povera città, sfortunata: ancora oggi si continua a parlare di quarta linea dell’inceneritore, una grande bufala. Si dice che è necessaria per combattere l’emergenza, soprattutto l’emergenza dei rifiuti che si avrà a settembre con la chiusura dell’impianto. Ma è falso, è una grande bugia, perché sappiamo, e tutti sanno, che ci vogliono tempi molto lunghi per fare una quarta linea dell’inceneritore, per il quale continuiamo a lamentare un deficit di democrazia: non c’è controllo e noi non sappiamo niente, con l’ipocrisia di Stato, e con il silenzio dei palazzi, che fanno finta sull’inceneritore.E le polveri sottili, micidiali pm 10? Nulla! Nonostante denunce ed esposti, da anni non si applica il piano regionale per la tutela della qualità dell’aria nelle nostre città. E intanto ragazzi e giovani continuano ad ammalarsi e a morire. E non solo loro! Ci sarà qualcosa di nuovo per questo nostro territorio? Anche la politica cittadina è senza progetti, senza sogni: il nuovo Piano urbanistico comunale è buona cosa ma non può ridursi a questione tecnica, senza prima riflettere e capire che città vogliamo, in che modo disegnarla, quale Acerra desideriamo per i nostri figli. Bisogna vivere la città, ripopolarne le piazze troppo vuote; è necessario ripristinare il confronto, il piacere di parlarsi e camminare. Una politica senza sogni e progettualità si riduce a mero pragmatismo, a rincorrere semplicemente l’emergenza.
E’ questa la nostra speranza: anzi, proprio i luoghi che sono stati di sofferenza possono sperimentare la novità della risurrezione. Una città come la nostra che ha proprio nella sacra e storica rappresentazione del Cristo morto tanto concorso di popolo, non può fermarsi al Venerdì santo, compiacendosi semplicemente delle scene della Passione – magari applaudendo quando il figurante che rappresenta Gesù, perché lo ha saputo fare bene, o quando viene messo in Croce in cima al Castello. Quando risorgerà questo popolo? Sarà Pasqua per Acerra quando tutti parteciperemo allo sviluppo della nostra città, vincendo la rassegnazione e non voltandoci dall’altra parte, quando le forze sane di questa città si metteranno insieme per la rinascita del territorio, quando sarò fatto tutto il possibile per la salute dei cittadini.Sarà Pasqua quando le scuole, le biblioteche, i centri musicali e sportivi saranno più numerosi delle sale da gioco in questa città, quando i mafiosi e i mercanti di veleni e di droga si pentiranno, quando i giovani non dovranno più emigrare, quando non moriranno e non si ammaleranno più bambini e giovani.Per questo popolo crocifisso che anela a risorgere allora sarà Pasqua veramente, e questa terra bellissima.Da anni insisto: non auguriamoci semplicemente buona Pasqua. Salutiamoci come i nostri fratelli ortodossi delle terre orientali e i primi cristiani: «Cristo è risorto, è veramente risorto». Cattedrale di Acerra, 21 aprile 2019, Pasqua di Risurrezione
Antonio Di Donna, vescovo di Acerra