Domenica scorsa Gesù ci ha chiesto qualcosa che ci è sembrato troppo grande, superiore alle nostre forze: amare i nemici. Oggi il Signore continua il suo discorso, ci dona indicazioni per poter mettere in pratica questo amore senza fraintendimenti. Amare comporta aiutarsi, correggersi, vedere il bene nell’altro. E la prima cosa che Gesù suggerisce, è purificare il proprio sguardo: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». Se abbiamo occhi occupati da egoismi, odio, interessi personali, negli altri vedremo solo nemici e non fratelli e sorelle. Una pagliuzza negli occhi degli altri ha la capacità di riuscire a coprire il resto del bene e del bello che l’altro porta in sé. L’invito a togliere la trave dal proprio occhio, è ancora una volta invito alla libertà: liberarsi da tutto ciò che ci impedisce di amare, da ciò che ci fa vivere con sospetto nei confronti degli altri, dal perdere la pace per ogni piccolo errore che gli altri possono fare, dalla presunzione di essere perfetti, di non aver bisogno di correzione. Dio, invece, ci guarda con occhi liberi, nonostante conosca i nostri peccati, ci guarda con cuore di Padre e vede il bene e il bello che c’è in noi (cf Gen 1,31) e dice a ciascuno: «tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4). Ed è questo amore che ci dà fiducia, ci aiuta a non soccombere sotto il peso dei nostri difetti e dei nostri peccati. Perché anche gli alberi che portano frutti buoni non sono perfetti, possono avere qualche foglia secca o un ramo spezzato. Siamo chiamati anche noi a dare fiducia agli altri, a non farli soccombere sotto il peso dei loro peccati, a sottolineare il bene che c’è e non ad accanirci sugli errori. Una parola buona, un complimento può infondere coraggio e forza, può dare luce a chi vede solo buio nella propria vita.
Sapere che anche nel nostro occhio c’è una trave, ci aiuta ad aver compassione per tutti, a non dare giudizi affrettati, ad aver cura di noi stessi, a cercare di conoscerci meglio, a riconoscere i nostri talenti e i nostri difetti, a chiedere perdono per i nostri peccati.
«Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi». Rendersi conto dei propri frutti, del bene che riusciamo a fare nonostante i nostri limiti, può aiutarci ad avere più fiducia in noi stessi e negli altri. L’Agricoltore si prende cura di ciascun albero, lo pota (cf Gv 15,2), ci zappa attorno, lo concima (cf Lc 13,8) affinché porti frutti sempre più buoni. La stessa cura per gli altri siamo chiamati ad avere noi, infatti, un «discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». Impariamo a tirar fuori «dal buon tesoro» del nostro cuore e del cuore dei nostri fratelli e sorelle, il bene che c’è. E la nostra bocca parli «dalla pienezza del cuore» e abbia solo «parole di carità e di sapienza» che «che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4,29).
don Alfonso Lettieri