Sant’Alfonso cammina con i nostri giovani

Ad Arienzo il vescovo Antonio Di Donna consegna la personalità eccezionale di Alfonso Maria de' Liguori a 300 pellegrini delle diocesi del napoletano

Se alla vigilia della partenza, il 6 agosto ad Acerra, monsignor Di Donna aveva raccomandato ai giovani di camminare “insieme” nel pellegrinaggio voluto da papa Francesco per le terre della Campania, prima di recarsi a Roma sabato e domenica 11 e 12 agosto, il giorno dopo il vescovo di Acerra affida alle centinaia di giovani raccolti nella chiesa di sant’Andrea ad Arienzo la figura da approfondire di un “gigante della santità” quale sant’Alfonso Maria de’ Liguori. E lo fa a due passi dall’episcopio che lo stesso santo fece costruire quando era vescovo di sant’Agata de’ Goti per risiedervi in diversi periodi dell’anno – Arienzo allora era parte della diocesi di sant’Agata – e così difendersi dall’artrosi di cui soffriva, visto il “clima favorevole” che “ancora oggi” si respira in questo luogo. 

 
Brillante avvocato. Trecento pellegrini riempiono la Chiesa quando monsignor Di Donna li invita ad approfondire la sua prima lettera pastorale, “In dialogo con sant’Alfonso”, che il presule ha fatto distribuire. Nonostante il caldo e la fatica, il vescovo chiede ai giovani di fermarsi a riflettere sui “tratti della sua grande personalità”, perché – chiarisce – “sant’Alfonso è un gigante”. E parte dal descrivere il “grande avvocato, il più brillante del foro di Napoli” che “si laurea ad appena sedici anni e introdotto nel foro vince tutte le cause”. Ma Alfonso, “giovane credente che non pratica molto e vive una religiosità naturale trasmessa dalla famiglia”, non avrà “lunga strada” nel foro. Lo si capisce dal “primo dei dodici comandamenti”, che lui stesso stila e secondo il quale “non bisogna mai accettare cause ingiuste”, e per il quale di lì a poco si scontrerà “con la corruzione della tangentopoli del tempo”, che gli farà perdere una causa “non per sua imperizia ma perché i giudici si sono lasciati corrompere”.  

 

Un prete diverso. Alfonso è così deluso che “lascia la professione”, e dopo un periodo di silenzio e depressione, tanto che “i genitori sono preoccupati”, prende la decisione, anche “contro la volta del padre”, di diventare prete. E se nel Regno di Napoli del 700 – Alfonso percorre con la sua vita e opera tutto il secolo dei lumi – abbondano preti, suore, religiosi, religiose e monaci, tanto da indurre il ministro Tanucci a fare leggi per moderare e ridimensionare lo strapotere dei conventi e il ruolo dei preti, Alfonso è un sacerdote “diverso”. Lo dimostra il “successo” che riscuote la “maniera nuova” di predicare di questo “pastore di grande carisma verso i poveri”. Ed è proprio la scelta di “annunciare il Vangelo ai poveri, agli abbandonati e a quelli di cui nessuno si occupa” che il vescovo indica ai giovani pellegrini. Una missione che si concretizza prima nei “quartieri poveri di Napoli” con le Cappelle serotine, moderni centri del Vangelo che si realizzano nelle “case fatiscenti e per strada nei luoghi malfamati”, e poi tra i “cafoni del suo tempo che vivevano nelle terre interne della Campania” tanto da prescrivere rigidamente nelle costituzione della Congregazione dei redentoristi che egli fonda il divieto di predicare nelle grandi città preferendo ad esse le campagne, ossia anticipando profeticamente quelle che oggi papa Francesco chiama periferie.

 

 
Far innamorare di Gesù. Da vescovo di sant’Agata de’ Goti, di cui faceva parte nel 700 la città di Arienzo, Alfonso opera una “radicale riforma della sua diocesi a partire dal clero”. Ma egli è anche un “grande confessore” tanto da esserne dichiarato il patrono, e “maestro di vita morale”, mostrandosi un “grande artista nell’accompagnare le persone” con il “grande merito di liberare la morale cristiana dal rigorismo giansenista, corrente di pensiero, presente anche nella chiesa del tempo, che vedeva Dio come giudice lontano e arcigno”. Sant’Alfonso si presenta invece come un “grande maestro di misericordia”, egli non è “né rigorista ne lassista”, anticipando il Concilio Vaticano II di due secoli dopo. L’imperativo di Alfonso è “far innamorare di Gesù” attraverso la “Pratica di amare Gesù Cristo”, il suo libro più diffuso. Per questo Alfonso è “grande maestro di preghiera” che con le sue opere, “stampate più numerose di quelle di Shakespeare e tradotte in tutte le lingue”, ha “formato per due secoli la povera gente”senza essere “accademico o intellettuale”. E per questo introdusse il metodo pastorale nuovo di evangelizzare con le canzoni – “Tu scendi dalle stelle”; “Quanno nascente Ninno”, che “racchiude tutta la teologia di Dio fatto uomo” – facilmente comprensibili dalla gente povera e senza cultura. Monsignor Di Donna indica ai giovane anche il “fine umorismo” di sant’Alfonso, “il più napoletano dei santi e il più santo dei napoletani”.

 

 
Ammonizioni. Monsignor Di Donna consegna ai pellegrini verso Roma la “lettera che Alfonso scrive ai nipoti Giuseppe e Alfonso il 4 aprile 1780″ e in cui chiede loro di conservare “l’amore di Di Gesù” e portare nel cuore il “santo timore di Dio” che è “Padre di tenerezza”; ma anche di non perdere mai la “gratitudine” e la “riconoscenza”per i tanti doni di Dio; e infine monsignor Di Donna raccomanda con sant’Alfonso lo “studio” e l’approfondimento delle “cose della vita, della ragione, della scienza e della fede”. Prima di concludere ricordando quanto papa Francesco aveva detto a Cracovia nel 2016 ai milioni di giovani che da tutto il mondo avevano partecipato alla loro Giornata mondiale. E cioè di non essere “giovani da divano” che rischiano di addormentarsi, “siate giovani non sdraiati”, esorta monsignor Di Donna, ma “in piedi e attivi” capaci di gridare prima che siano le pietre a farlo, e di prendere parte al dialogo sociale e politico invece di rimanere a guardare la vita dal balcone (Papa Francesco, Domenica delle Palme 2018). Infine il “discernimento”, che non è altro che “chiedersi in ogni situazione – a scuola, all’università, al lavoro, sul campo di calcio – cosa avrebbe fatto Gesù al mio posto?”-

 

 
Il raduno a Maddaloni. La mattina del 7 agosto 300 giovani pellegrini provenienti dalle diocesi del napoletano si incontrano al Villaggio dei Ragazzi a Maddaloni. Stendardi, canti, abbracci e preghiere riempiono di primo mattino le strade della città. Alla spicciolata arrivano sacerdoti, suore, monaci e vescovi. C’è quello di Caserta, Giovanni D’Alise, che presiede la Messa di inaugurazione. Ma anche il pastore di Aversa, Angelo Spinillo e il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna.

Monsignor D’Alise esorta i giovani a “cercare il volto del Signore” per evitare che questo pellegrinaggio si trasformi in una “passeggiata estiva” ma diventi realmente “luogo della manifestazione di Cristo, luogo della presenza di Gesù, che mi viene incontro nei fratelli che viaggiano con me”. Perché questo accada è necessario “uscire da noi stessi” evitando di portare sempre la casa con noi come “la tartaruga che non esce mai completamente” dal suo carapace. 

 
La notte a Santa Maria a Vico. Dopo la Messa a Maddaloni i giovani si incamminano verso Arienzo dove raggiungono il Convento dei Frati Cappuccini e consumano il pranzo offerto dall’Amministrazione comunale che non fa mancare il suo supporto logistico e di uomini. Il percorso non è stato facile anche se lungo la strada non mancano le “rinfrescate” con lacci messi a disposizione dalla gente che abita lungo i viali e che a suo modo partecipa a questa singolare esperienza. Per questo un giovanissimo Giuseppe “alla mia prima esperienza” è “felice nonostante la stanchezza” grazie anche al “sostegno che ci diamo l’un l’altro” nell’affrontare i disagi del cammino. Questi sono “giorni pieni di fatica e felicità” anche per Martina che partecipa con tutto “il gruppo giovani della mia parrocchia” al pellegrinaggio. Per la notte, dopo la catechesi del vescovo, i pellegrini si dirigono da Arienzo a Santa Maria a Vico. Ad attenderli in piazza una città fattivamente partecipe ed entusiasta grazie al sostegno dell’Amministrazione comunale che allieta la serata con la sfilata degli abiti storici del Corteo Aragonese e una piccola festa con animazione. Il sindaco offre la cena, mentre per la notte si aprono le porte dell’Istituto scolastico Majorana Bachelet.