Ripartire da Dio

Il primato della fede

Pubblichiamo l’omelia integrale pronunciata dal vescovo Antonio Di Donna in Cattedrale domenica 6 ottobre durante la Celebrazione eucaristica nell’inizio dell’Anno Pastorale 20024/25 presieduta dal presule e concelebrata da tutti i sacerdoti della diocesi.

 

La bellezza della relazione

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). La Parola di Dio di questa 27ª domenica del tempo ordinario si riferisce certamente alla relazione tra l’uomo e la donna.

Ma se mi è lecito, potremmo coniugare questa parola della Genesi così: non è bene che il vescovo sia solo, ha bisogno del suo presbiterio; non è bene che il prete sia solo, ha bisogno degli altri preti; non è bene che il parroco sia solo, ha bisogno della sua comunità; non è bene che il consacrato, la consacrata, siano soli, hanno bisogno della loro famiglia religiosa; non è bene che la parrocchia sia sola, ha bisogno delle altre parrocchie, quelle vicine in particolare.

In definitiva, non è bene che il cristiano sia solo. «Un cristiano da solo non esiste» diceva Cipriano di Cartagine, ha bisogno degli altri! «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Mi permetto un’affermazione audace: neppure è bene che Dio sia solo. Egli è relazione trinitaria: Padre, Figlio e Spirito Santo. Esistono le relazioni in Dio? Sì, la relazione ha il primato sulla solitudine. Il noi viene prima dell’io. È stata sempre una bella scoperta vedere come nella prima parte della più bella preghiera cristiana – quella che ci ha insegnato Gesù, il Padre Nostro –prevalga l’aggettivo tuo: «sia fatta la tua volontà, venga il tuo regno, sia santificato il tuo nome», mentre nella seconda parte il noi: «dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, non abbandonarci alla tentazione». Nel Padre nostro non esiste né l’io, né il mio.

La celebrazione di stasera, come ogni anno all’inizio dell’anno pastorale di tutta la diocesi nelle sue varie articolazioni, vuole essere perciò la manifestazione, l’epifania della bellezza della relazione, dell’insieme, la bellezza del noi che prevale sull’io.

 

Ritornare «al principio»

L’altro punto di riferimento lo prendo dal Vangelo – Gesù afferma l’indissolubilità del matrimonio – per cogliere un particolare. Di fronte alla domanda dei farisei il Signore offre un metodo di risposta, risale all’inizio, al principio. «Cosa vi ha detto Mosè? Ha detto così e così? Sì, ma l’ha fatto per la durezza del vostro cuore». Bella la parola greca «sclerocardia»: un cuore sclerotico, duro! «L’ha fatto per questo Mosè, vi ha dato questa norma per la durezza del vostro cuore, ma al principio, all’origine della creazione, Dio, il Creatore, li ha fatti maschio e femmina, perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola» (Mt 19,3-8). Per dirimere la questione, Gesù risale al principio, ritorna alle origini, alla volontà originaria del Creatore sull’uomo e sulla donna.

Questo metodo – risalire al principio, ritornare alle origini contro la durezza del cuore dell’uomo – ci interessa, cari amici, cari fratelli e sorelle, particolarmente in quest’anno pastorale 2024/25: in tutta la Chiesa universale esso sarà caratterizzato da un evento che cade ogni 25 anni, il «Giubileo», che si aprirà a Natale a Roma per la Chiesa universale con il Papa, e in Diocesi nella domenica della Santa Famiglia, tra Natale e Capodanno, il 29 dicembre. Il Giubileo è un ritorno alle origini. Così è nato nella Bibbia. Anche Israele celebrava i Giubilei. Il Giubileo era un ritorno alle origini. Si azzerava tutto in Israele e si ritornava alla condizione precedente. Il Giubileo ci invita a ritornare al principio, ritornare alla fonte.

 

Ripartire da Dio

Negli «Orientamenti pastorali» che vi saranno consegnati alla fine della Messa, chiedo a tutti di ripartire dal principio, da Dio, dall’essenziale, da ciò che unicamente conta: «cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33).

«Cercate», prima di tutto! La ricerca di Dio deve tornare ad avere il primato nelle nostre comunità: il primato di Dio, del Signore Gesù, della sua Parola; il primato della grazia; il primato di ogni persona umana; il primato dell’interiorità rispetto anche alle nostre attività pastorali; il primato di Gesù Cristo sulla Chiesa (Gesù viene prima della Chiesa, Dio viene prima della Chiesa); il primato della grazia sulla morale; il primato della persona sulle strutture; il primato dell’interiorità sul fare; il primato dell’essere sull’avere.

Cari amici, chiedo a me, chiedo a voi: la nostra Chiesa, le nostre comunità, sanno ancora parlare di Dio, del suo primato? Lo cercano? Parlano di Dio le nostre assemblee liturgiche? Le nostre catechesi fanno presentire il mistero di Dio? Insegniamo a pregare? I nostri ragazzi, i nostri giovani, la nostra gente, sanno pregare?

 

Il «Credo» e il primato della fede

Parliamo poco di Dio, sul quale c’è un silenzio assordante! Parliamo poco della nostra fede, della mia fede di Vescovo; della fede personale, della fede di noi preti, della fede di noi consacrati, della fede di una catechista, di un catechista. Ci raccontiamo poco la nostra fede. Parlo per me e per i miei preti: molto spesso nei nostri incontri parliamo di tutto e di più, tranne che della nostra fede!

In quest’anno, a maggio in particolare, cadrà un anniversario molto importante, vi accenna il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo: 1700 anni da quel Concilio, il primo della storia della Chiesa, tenuto nel 325 a Nicea, nell’attuale Turchia. I 300 vescovi presenti, racconta la cronaca, elaborarono quello che tra qualche minuto, come ogni domenica, professiamo: il «Credo Niceno-Costantinopolitano».

 

Anzitutto la relazione con Dio

Per molti osservatori, viviamo secondo quattro relazioni: con Dio; con se stessi; con gli altri; con le cose, il creato, il mondo. La prima di tutte è con Dio: se si sbaglia questa, si sbagliano anche le altre. Ecco perché propongo alla diocesi in quest’anno, e la vivrò anche io personalmente, una scuola di preghiera per imparare a pregare! «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1) chiedono i discepoli a Gesù. Periodicamente, probabilmente con scadenza mensile, propongo a tutta la diocesi, in diversi luoghi, incontri per imparare a pregare: una scuola di preghiera diocesana per ristabilire il primato della relazione con Dio!

 

La «forma più alta della carità» è l’impegno socio politico

La seconda relazione è con gli altri, soprattutto con i poveri. Il Papa ha dato a questo Giubileo una cifra chiara. Parla della speranza, il titolo della bolla del Giubileo è «Spes non confundit», espressione di san Paolo che significa «La speranza non delude», non confonde. Francesco invita a dare concreti segni di speranza, ai poveri in particolare. Invito perciò le Caritas, diocesana e parrocchiali, ad attivarsi ancora di più per coltivare questa relazione con i poveri, in cui la «forma più alta della carità» è l’impegno sociale.

Da troppo tempo i cattolici sono latitanti su questo fronte! E non parlo solo di Acerra: da decenni un riflusso nel privato ha causato l’abbandono del campo sociopolitico. Ma quando è fatta bene, la politica, o l’impegno sociale in qualche modo, è la «forma più alta della carità». La frase è del Papa Pio XI, ripresa poi dal Santo Papa Paolo VI.

Credo che sia ormai giunto il tempo – non solo per Acerra: alla luce della Settimana sociale dei cattolici italiani vissuta a Trieste nel luglio scorso un pò in tutte le chiese italiane sta emergendo questa sensibilità – di una nuova stagione per l’impegno dei cattolici nel campo sociale e politico.

E se è vero che la Chiesa non deve entrarvi direttamente – spetta a laici e laiche animare questo campo – essa deve però educare a questo impegno così come educa alla fede e alla carità.

Ho intenzione, se il Signore ce lo concede, di avviare una scuola diocesana di educazione, non all’impegno sociopolitico – ce ne sono state nel passato, sono ormai finite – ma alla cittadinanza attiva e responsabile, non solo ad Acerra bensì in tutte le città della diocesi. È giunto il tempo di una nuova stagione in questo campo!

 

La Visita Pastorale

E infine, riprenderò in quest’anno, se Dio vuole, la Visita Pastorale che ho interrotto quattro anni fa a causa del «Covid». E lo farò in forma nuova: circoscritta ad alcuni giorni, probabilmente dal giovedì alla domenica, in cui verrò a visitare le singole comunità parrocchiali, per dare incoraggiamento al parroco, agli operatori e alle operatrici pastorali, per conoscere il mio popolo più da vicino e potenziare quello che va, ma anche per verificare come vanno le cose in ogni parrocchia e cercare di correggere qualcosa che non va.

Ci accompagni il Signore in questo cammino! Buon anno pastorale, Chiesa di Acerra. Buon anno pastorale a tutti.

+ Antonio Di Donna