Prete da 50 anni

Il Giubileo Sacerdotale di don Giancarlo Petrella. Per il vescovo Antonio Di Donna, un esempio per il sacerdote dei nostri giorni, chiamato a «guadagnare autorevolezza sul campo»

 Se la figura del prete oggi appare alquanto «scolorita» da un mondo che si crede «adulto» ed «emancipato» e che pretende di organizzarsi «senza Dio», al sacerdote dei nostri giorni non rimane altra strada per «guadagnarsi sul campo l’autorevolezza morale e il ruolo sociale» di un tempo, se non la «testimonianza» che passa dalla capacità di essere «vicino alla gente», da uno «stile di vita povero», dall’umiltà di chi sa farsi strumento di «comunione», dal desiderio di diventare «uomo che ascolta», dal coraggio della «gratuità», dal bisogno di «formarsi» e dal diventare sempre più «uomo spirituale». Tutte queste cose insieme è la storia del prete don Giancarlo Petrella.

La sera del 27 giugno, monsignor Antonio Di Donna è intervenuto nell’ambito delle iniziative in preparazione al giubileo sacerdotale del parroco di sant’Alfonso ad Acerra. Una settimana con diversi ospiti – tra cui monsignor Gennaro Pascarella, vescovo di Pozzuoli; monsignor Gennaro Acampa, vescovo ausiliare di Napoli; e monsignor Giovanni D’Alise, vescovo di Caserta – che hanno testimoniato la lunga fedeltà di don Giancarlo al sacerdozio, alla Chiesa, e soprattutto al popolo che Dio gli ha affidato in 50 anni. Al vescovo di Acerra è stato dato il compito di riflettere a partire dalla domanda “Quale prete oggi?” per quale Chiesa. Perché, ha detto il presule, è impossibile «comprendere il prete» a prescindere dalla «comunità». «Pastore e popolo», infatti, si plasmano «a vicenda» in un «rapporto stretto». Monsignor Di Donna ha analizzato i cambiamenti che negli ultimi cinquant’anni hanno stravolto la vita del mondo e della Chiesa, più di quanti ne avessero prodotto due o tre secoli. A partire proprio da quel sessantotto – anno di ordinazione sacerdotale di don Giancarlo, le cui aspettative di un mondo nuovo venivano ben sintetizzate da una copertina della Domenica del Corriere con al centro Papa Giovanni XXIII, Robert Kennedy e Nikita Krusciov intenti a spargere grano in un campo – fino ai nostri giorni, attraverso un tale «processo di secolarizzazione» per cui oggi Dio sembra essere diventato per molti «irrilevante» e posto ai margini della società.Ma «una Chiesa che perde numeri e potere» – non più di «massa», ma «piccolo gregge» come alle «origini» e «sempre più minoranza» incapace di influire sulla «mentalità» e le «leggi» – può nelle parole del presule rappresentare «un’occasione perché il prete recuperi la sua vera identità di ministro del Signore in mezzo al suo popolo». A patto che egli, piuttosto che sfuggire al «disagio» e alla «solitudine» con «surrogati» di quel «potere sul popolo» che non ha più, torni ai suoi compiti essenziali di «annunciare la parola», «spezzare il pane» nella celebrazione dell’eucaristia e «perdonare i peccati» attraverso il sacramento della confessione. «Tutto il resto è dei laici», ha detto con forza il vescovo auspicando «una comunità tutta ministeriale», in forza del «battesimo» di ciascuno, «al di fuori della quale non può essere più pensato il prete», e capace di «lasciare al parroco solo questo», contro i pericoli di una «delega laicale» o del «prete clericale e autoritario», entrambi mortali. Insomma, una Chiesa circolare, «comunità si servizio attorno alla mensa eucaristica al centro», e che trovi anche il coraggio di scrivere i propri «atti», con «il parroco al servizio dell’unità e della comunione tra i vari ministeri».Infine, monsignor Di Donna ha tracciato i lineamenti di un prete per i nostri tempi a partire dalle continue «esortazioni» di Papa Francesco di «questi cinque anni di pontificato» e dalla «riforma del clero» in atto da tempo nella Chiesa italiana. Perciò, il prete del futuro sarà «davanti» al popolo per «guidare», in mezzo per «condividere gioie e dolori», e «dietro» per «seguire il fiuto»; egli praticherà uno «stile di vita povero», e avrà il coraggio del «martirio della comunione» tra i preti, con il vescovo e la comunità; ma sarà anche «uno che ha tempo per ascoltare», con «pazienza e competenza»; perciò cercherà la «formazione permanente», evitando di «campare di rendita», e non avrà paura della «gratuità» contro il pericolo di diventare un «burocrate». Infine, il prete del futuro sarà un uomo che prega ed educa alla preghiera, perché «un prete che insegna a pregare e aiuta a vivere la fede» è capace di colmare la «sete di trascendenza» che pure abita il cuore di tanti che sembrano «lontani».  Antonio Pintauro