«Questa preghiera si è aperta, è andata avanti, e ora si chiude nel silenzio. Dopo la benedizione finale andremo via lungo la navata centrale in processione senza canto». Monsignor Antonio Di Donna congeda i tanti fedeli riuniti in Cattedrale alle tre del pomeriggio per l’Azione liturgica e l’adorazione della Croce del Venerdì santo. Poi l’esortazione, quasi una supplica: «Fate il il possibile per mantenere questo silenzio che ci introduce nel Sabato santo, il giorno più trascurato del Triduo pasquale», che rischia di essere inquinato dalla confusione e frenesia inevitabili della preparazione alla grande festa della Pasqua.
Eppure, continua il presule, dobbiamo sforzarci di contemplare il «silenzio di Dio», che per quanto in particolare negli «ultimi anni» sembra indurci nella tentazione di credere che il Signore sia «assente» dalla storia del mondo e di ciascuno, proprio in questo giorno invece Egli «scende negli inferi» e sfonda l’ultima porta, infrange la frontiera della più grande delle solitudini, quella estrema della morte.
«Al centro di questa Celebrazione c’è la Croce del Signore» aveva detto Di Donna qualche minuto prima durante l’omelia indicando «il Crocifisso ancora coperto della Cattedrale che è stato restaurato», per poi chiarire: «La Croce di Gesù non è segno di sofferenza e di sconfitta ma di vittoria, di una vita donata per amore». Per questo «il Vangelo di Giovanni ci presenta un Crocifisso vittorioso, glorioso» e la stessa Croce «segna la storia, l’arte e la letteratura dell’umanità». Basti pensare al «Crocifisso di San Damiano ad Assisi». «Ma ben più dell’arte e della cultura, la Croce scandisce la nostra vita quotidiana» aveva incalzato monsignor Di Donna ricordando le «tante volte che durante la giornata, magari anche distrattamente, facciamo il segno della Croce». Ma «la Croce è spesso oggetto di dibattito: in nome della laicità, o del rispetto e della tolleranza verso i credenti di altre religioni, viene messa in discussione la sua presenza nelle scuole e negli uffici pubblici». Addirittura «nelle nostre case» il Crocifisso essere «scomparso» perché «non viene posto più alle pareti».
Paradossalmente però, la Croce «ricompare come oggetto di abbellimento», come «collana» oppure «tatuata sulla pelle», o, ancora di più, «finisce per essere spettacolarizzata: proprio in queste ore nei vari luoghi della nostra terra, a Procida, a Sorrento, e anche da noi ad Acerra le folle accorrono per vedere lo spettacolo della Passione e della Croce» continuava il vescovo chiarendo che «la Croce di Gesù è un segno contraddittorio: talvolta viene rifiutata, altre rimossa, altre ancora oscurata o spettacolarizzata», ma raramente è compresa nel suo giusto significato». E «non aiuta neanche il linguaggio diffuso tra noi, quando diciamo, per esempio, “il Signore mi ha mandato questa Croce”, oppure, “ognuno ha la sua Croce”, modi di dire simili che poco o niente hanno a che vedere con il Vangelo».
«Rifiutata, oscurata, fraintesa», la Croce è tornata in questi anni e in questi giorni con «gli sbarchi dei barconi carichi di migranti naufragati sulle coste dell’Italia: in Sicilia, a Lampedusa, in Calabria», per cui «vengono fatte sempre più croci di legno ricavate proprio da quei barconi». Di recente «a Cutro, in Calabria, sono state realizzate molte croci di legno, di tutte le dimensioni, ricavate dai barconi di migranti». E «la croce di Lampedusa è diventata famosa, viene ospitata nei musei, perfino al British Museum di Londra, nelle scuole, nelle carceri, nelle parrocchie». A Cutro, disseminate lungo la spiaggia calabrese, alcune croci addirittura hanno addosso «i giubboni di salvataggio arancioni addosso».
Ma, h ancora una volta precisava monsignor Di Donna, «la Croce di Gesù è il punto più alto della rivelazione» di Dio. Essa «rivela chi è l’uomo, e chi è Dio». Essa quasi sussurra: «Guardati come sei, o uomo, incapace di sopportare il Giusto, l’innocente, al punto che chi ama veramente viene trattato da pazzo e da fallito. Ecco quello che sei o uomo, ecco come sei, ecco come è l’uomo, questo è l’uomo». Insomma, «la Croce rivela il peccato dell’uomo e il suo no a Dio».
Ma nello stesso tempo, «la Croce rivela rivela soprattutto chi è Dio: solo la Croce di Gesù ci dice chi è veramente Dio, e anzitutto il suo amore folle per l’uomo». Ci dice che «Dio non ci giudica, ma ci ama, e ci ha amato fino a questo punto».
«Tra qualche minuto, quando scopriremo il grande Crocifisso che quest’anno dopo la restaurazione il parroco, don Ciro, e don Gustavo hanno messo al centro di questo presbiterio, e verremo ad adorare la Croce, gettiamogli un bacio, e forse una lacrima, battiamoci il petto», esortava ancora durante l’omelia il vescovo prima di ribadire: «Guardati come sei o uomo, guarda di che cosa sei capace, guarda dove sei arrivato, guarda, guarda e battiti il petto», e l’invito a tornare «nelle nostre case, oggi, consolati e sereni», perché «Dio ci ama e ci ama fino a questo punto».
Perché proprio contemplando questo «apparente» silenzio del Signore Dio che siamo pervasi dalla «serena certezza che Dio ci ama», e diventiamo capaci di giungere pieni di gioia alla grande Veglia di Pasqua, quella che sant’Agostino chiama «la madre di tutte le veglie», alla quale monsignor Di Donna invita «calorosamente» tutti a partecipare questa sera alle 22.30 in Cattedrale.