E’ grande festa di gioia questa dell’Assunta. Lo prova la vostra partecipazione così numerosa in questi giorni in cui la Cattedrale ha celebrato il Triduo in preparazione ad oggi. E’ segno che la festa di Maria Assunta in Cielo attira ancora, grazie a Dio, ed è forte nel sentimento di fede del popolo cristiano.
Assunta.
Che cosa celebriamo particolarmente oggi? Quale aspetto della verità su Maria viene evidenziato?
Noi crediamo che la Vergine Maria, la Madre del Signore Gesù, è stata Assunta.
Questa è la parola centrale della festa di oggi: Maria è stata Assunta in Cielo in corpo e anima; tutta la realtà di Maria è stata presa, è stata Assunta alla Gloria del Cielo.
Noi crediamo che la Madre del Signore non ha conosciuto la corruzione del sepolcro, ma è stata presa in anima e corpo, Assunta alla Gloria del Cielo.
Discepola.
Questo, perché Maria è stata unita mirabilmente, singolarmente associata alla vita del Figlio: è stata unita nel darGli la vita, nel generarLo alla vita, nel darGli la carne umana; è stata unita al Figlio credendo in Lui (Maria è la prima credente, la prima discepola del Figlio Gesù, lo dice molto bene il grande poeta Dante, che la chiama “Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio”, discepola del Figlio, la prima credente); è stata unita al Figlio soprattutto nel Mistero della Croce, nel martirio della Croce (“una spada ha trafitto il suo cuore”, associata alla Passione del Figlio); e perciò, è stata unita a Lui anche nella Gloria, partecipando in modo singolare alla Resurrezione del Figlio.
Ecco perché questa festa viene chiamata anche, e giustamente, la Pasqua dell’estate. L’Assunzione di Maria in Cielo in anima e corpo rimanda alla Pasqua, rinvia alla festa che per noi cristiani è il cuore, il centro della fede. La Resurrezione di Gesù è il fondamento della nostra fede, e le letture che abbiamo ascoltato ci illustrano questa verità su Maria.
Segno.
La prima lettura è tratta dal Libro dell’Apocalisse e ci presenta il grande “segno” che sta in Cielo. “Un segno grandioso, una donna vestita di sole, incinta, sta per partorire un Figlio maschio destinato a governare le nazioni”.
Ma questa donna incinta è tentata dal “drago”. Ecco il secondo segno: il grande drago che “insidia” questa donna perché le deve “rapire il Bambino”, le deve togliere la speranza della nascita di questo Figlio.
Questa scena – la donna incinta da una parte, vestita di sole; e dall’altra il drago – rappresenta l’eterna lotta tra il bene e il male, tra la speranza di un popolo (il bambino che deve nascere, come ogni bambino, ne è il segno massimo: significa gli anni che verranno, la vita che deve venire), e la minaccia continua del drago, quei segni di morte che cercano di toglierci la speranza, di spingerci nella rassegnazione e nella vita di morte attorno a noi.
Primizia.
San Paolo, nella seconda lettura, prende spunto dalla Resurrezione di Gesù per dire che “Cristo Risorto è la primizia”. Coloro che fanno la spesa, o i contadini, sanno bene cosa sono le primizie: i frutti fuori stagione, quelli che nascono prima del tempo. Ecco, “Cristo risorto – dice Paolo – è la primizia, Lui è il primogenito di molti fratelli”.
Lui è andato avanti, ha rotto la prigionia della morte; e poi, dopo di Lui, sarà il turno di “quelli che sono suoi, gli appartengono”, di quelli che “credono in Lui” e che condivideranno la sua stessa Gloria, la sua Resurrezione.
San Paolo si ferma, ma la fede della Chiesa è andata oltre: chi, infatti, dopo Cristo è stata la prima a godere dei frutti della Resurrezione del Signore? Chi, se non Lei, è partecipe della Gloria del suo Figlio Risorto? Chi, se non Lei, che Gli ha dato la vita, ha generato l’Autore della Vita? Chi, se non Lei, che è stata unita alla Vita, alla Passione, alla Croce del Figlio?
Dopo Cristo ognuno nel suo ordine, ma dopo Cristo anzitutto Lei, Maria, la Madre del Signore!
Beata.
E infine, nel Vangelo, ci viene detto il perché di questa gloria di Maria, cosa La rende grande: la sua fede. Elisabetta Le rivolge la prima e più bella beatitudine del Vangelo: “Beata Colei che creduto nell’adempimento delle parole del Signore”.
Beata cioè Colei che ha creduto nell’impossibile; beata Colei che ha creduto che il bene può vincere, che il drago può essere sconfitto; beata Colei che ha creduto che “nulla è impossibile a Dio”, che a Dio tutto è possibile. Perché questa è la fede, cari amici. In fin dei conti, questo significa credere; significa credere che “nulla è impossibile a Dio”; significa credere all’impossibile: l’impossibile può avvenire, può realizzarsi perché “nulla è impossibile a Dio”. E Maria ha creduto nell’impossibile, ha avuto speranza, ha sperato contro ogni speranza. Perciò può esultare e cantare secondo l’Inno del Magnificat che abbiamo ascoltato nel Vangelo: “L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”. Maria canta, danza, esulta di gioia perché sa che Dio “rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, rimanda i ricchi a mani vuote”, e invece “riempie di beni gli affamati”. Lei esalta questo Dio che rovescia le situazioni del mondo perché Lui lo può fare, l’ha fatto in Gesù. Usa i verbi al passato Maria: non dice “perché Dio rovescerà i potenti dai troni, perché Dio rimanderà i ricchi a mani vuote”; no, usa il passato: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. I verbi sono usati al passato, già è avvenuta la vittoria. La vittoria è la Resurrezione di Gesù, come ci dice la stupenda sequenza del giorno di Pasqua: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello, il Signore della vita era morto ma ora vivo trionfa”. Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il duello fra bene e male, fra morte e vita, è stato già vinto, la guerra è stata già vinta, non vincerà Gesù Risorto, ha già vinto con la sua Resurrezione, ha vinto la battaglia decisiva della guerra tra bene e male, poi ci sono le scaramucce, poi ci sono le piccole battaglie di ogni giorno, e noi siamo partecipi di questo duello, di questa guerra continua tra bene e male.
Perciò gioiamo in questo giorno, Pasqua dell’estate, perché in Maria Assunta in Cielo noi vediamo la conferma della nostra speranza, noi vediamo che Lei insieme con Gesù ha vinto ed è un segno di consolazione, di sicura speranza per noi che siamo ancora combattenti nella storia, siamo ancora in questo duello tra vita e morte, tra bene e male. E per questo noi La preghiamo: gioiamo con Lei, ma Le chiediamo di intercedere per noi ancora pellegrini e combattenti, ancora soldati, militanti in questa guerra di ogni giorno che vede il bene il male in lotta tra loro. E proprio perché non si tratta di una leggenda, di un romanzo a lieto fine, un mito, la parola di Dio ci riporta alla realtà, alla lotta tra la donna incinta che deve partorire, la donna vestita di sole, e il drago che india la sua vita, che vuole rapire il Bambino che deve nascere.
Speranza.
Permettete perciò cari amici che il Vescovo cerchi di tradurre brevemente nella vita di ogni giorno della nostra Comunità Diocesana, e soprattutto di Acerra, questo duello, questa lotta continua tra bene e male; e vedere “lucidamente” i segni di morte, i segni del drago che è in mezzo a noi e minaccia la nostra speranza, la speranza di un popolo; segni di morte che non vinceranno, non prevarranno, perché se facciamo festa, se la Chiesa ci fa fare festa, è perché ha la speranza che il drago non vincerà, come ci ha detto l’Autore dell’Apocalisse: “La donna incinta partorisce il Figlio maschio”. Il drago cerca di rapirlo ma non ci riesce, perché il Bambino viene portato in un luogo sicuro e la donna viene portata lontano; il drago la insegue ma non riuscirà a prendere la donna e non riuscirà rapire il Bambino, non riuscirà a uccidere la speranza di un popolo, la speranza che il bene vince sempre sul male.
E quali sono questi segni di morte, i segni del drago che insidia la speranza, la nostra speranza. Nella Bibbia ogni volta che si parla di una donna è si Maria, ma nello stesso tempo si parla della Chiesa. La donna è Maria ed è la Chiesa, siamo noi, il popolo di Dio, e il bambino che deve nascere è si il Figlio di Maria Gesù benedetto, ma è anche il nostro figlio, la speranza di un popolo.
Genova.
Segni del drago in mezzo a noi sono anzitutto il segno di morte di queste ultime ore che ha colpito la speranza del nostro Paese con la tragedia di Genova, che richiama la sicurezza sulle nostre strade, che deve essere sempre oggetto della nostra attenzione. La tragedia di Genova è un segno di morte per quelli che hanno vissuto in prima persona questo dramma, per i loro familiari, ma per il Paese intero.
Lavoro.
Ma per venire più a noi e alla nostra vita di ogni giorno – come cristiani della Diocesi e della Città di Acerra e come Cittadini del nostro Paese, perché dobbiamo guardare sempre più in là – permettete che molto velocemente indichi quelli che a mio parere, secondo la mia esperienza, sono i segni di morte che respiriamo in mezzo a noi.
E come non partire, tra questi segni di morte, dalla mancanza cronica e permanente di lavoro, che vede l’esodo continuo, forzato, di decine di migliaia di giovani del nostro Sud andare via, emigrare, non più come i nostri padri con la valigia di cartone ma comunque emigranti, lontani dalla loro terra? E’ una vera Emergenza, alla quale stiamo facendo l’abitudine, assistendo rassegnati e impassibili: dobbiamo invece indignarci di fronte a questo omicidio, assassinio di un’intera generazione di giovani che se ne vanno dalle nostre terre per tanti motivi, ma soprattutto per mancanza di lavoro. E certe volte sono i giovani i migliori, i più capaci, i più sensibili, che non sopportano di essere feriti nella loro dignità di uomini e donne privati del lavoro. Perché il lavoro non è soltanto portare i soldi a casa, è più dei soldi, è la dignità dell’uomo: una persona che non lavora è mortificata, avvilita, umiliata perché non si esprime in quello che deve fare come uomo sulla terra.
E’ la vera emergenza. E in questo capitolo permettete che io tra questi segni di morte veda anche la chiusura della fabbrica La Doria, quella dei sughi pronti. La Doria chiuderà, salvo miracoli. E’ quasi certo che tra fine settembre ed ottobre sarà delocalizzata, e gli operai dovranno andare via, in altri stabilimenti. Ed è un peccato, un peccato grave, perché ho visitato La Doria il mese scorso: è una fabbrica eccellente, non inquina! Ma perché nel nostro territorio devono avere spazio solo aziende inquinanti, e aziende positive devono invece andare via? Certo, grazie a Dio, sono stati evitati i licenziamenti. Questo è positivo, di questi tempi dobbiamo ringraziare il Signore, almeno questi operai di Acerra non perdono il lavoro. Ma rimane la sconfitta di una delocalizzazione dell’azienda che speriamo non diventi una cattedrale nel deserto come l’ex Montefibre. Non è stato capito il punto, la posta in gioco, che non era solo di posti di lavoro, ma ben più alta: una battaglia per il territorio, per difendere Acerra, perché non sia solo un luogo di rifiuti ma anche di eccellenze, bellezza. Certo, probabilmente, speriamo che un domani il sito sarà riconvertito, ma per il momento questa è solo una bella parola, sta di fatto che essa chiuderà e sarà delocalizzata. Il lavoro, il lavoro, il lavoro! Vera emergenza!
Inquinamento.
Ma vorrei guardare come segno di morte, anche, ancora, tutti quei segni di inquinamento della nostra terra. Sono stanco di parlarne, vi confesso, stanco perché sembra che diciamo le stesse cose. Ma noi non ci dobbiamo rassegnare! La Chiesa non vuole abbassare la guardia su questo tema, vuole mantenere i riflettori accesi! C’è il rischio, leggo dai giornali, di una nuova crisi dei rifiuti nella Regione Campania – speriamo di no – ma se si verificherà essa inevitabilmente avrà una ricaduta si di noi, su Acerra, dove ha luogo l’unico, l’unico, l’unico inceneritore della Regione Campania! Qualcuno sta buttando acqua sul fuoco e dice: “Ma non parliamo più di Terra dei Fuochi, è un marchio infamante da cancellare”. Sono d’accordo, non mi è mai piaciuta e non mi piace la dicitura Terra dei Fuochi, però attenzione: non è cancellando la parola Terra dei Fuochi, e parlando ad esempio, come è stato proposto, di Napoli Nord o di Caserta Sud, non nominando più Terra dei Fuochi per togliere questo marchio infamante, che si cambia la sostanza. Non volgiamo più parlare di Terra dei Fuochi? Va bene, ma la sostanza rimane: rimangono le malattie e le morti; rimane il fatto che le bonifiche non partono; rimane il fatto che la moratoria tanto sospirata non arriva. Togliamo pure la parola Terra dei Fuochi! E che cambia!? La sostanza rimane: l’immobilismo, il segno del drago che vuol rapire il Bambino appena nato!
Umani.
Un altro, il penultimo segno, è il clima avvelenato che stiamo respirando nel nostro Paese in questi ultimi tempi. Lo so che quando tocco questo tasto qualcuno storce il naso. Ma io sono Vescovo, e devo obbedire alla mia coscienza di Vescovo, devo obbedire a Dio prima che agli uomini e ai loro gusti!
Mi riferisco a quel clima avvelenato che è questa crescente ostilità verso i profughi, i migranti. Sia chiaro, voglio essere chiaro: qui vengono comprese – io comprendo, noi comprendiamo, la Chiesa comprende – tutte le ragioni di questo mondo, che sono giuste. E cioè che l’Europa ci ha lasciati soli a gestire il flusso dei migranti: ci ha dato i soldi lavandosene le mani, e l’Italia ha dovuto portare il peso, e adesso giustamente si chiede che questo peso sia equamente distribuito tra tutti i Paesi dell’Europa. E’ giusto, giustissimo, per esempio che sarebbe meglio aiutarli nei loro Pesi ed evitare che questa povera gente venga da noi attraversando il Mediterraneo. E’ giusto anche, ed è vero purtroppo, che molti lucrano sui migranti, fanno affari, fanno soldi sui migranti, pure questo è giusto. E’ vero, è giusto anche che ci sono i nostri poveri, i disoccupati a cui dobbiamo pensare, che non capiti che magari si aiutino solo i migranti e poi i nostri non vengono aiutati. Anche questa ragione è validissima. Tutto è valido. C’è però un “ma” che viene dal Vangelo: “Ero forestiero e non mi avete accolto. Via lontano da me maledetti, nel fuoco eterno”. Questo non l’ho inventato io, questo è il Vangelo di Gesù Cristo, Vangelo secondo Matteo capitolo 25: “Avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non avete dato da bere, ero forestiero e non mi avete ospitato”. Come possono alcuni dire ostentatamente che sono cristiani, che praticano la fede, e poi ignorare questi che sono non valori opzionali, facoltativi, ma è Vangelo? E come è possibile che alcuni dicono: “Sì, questo è Vangelo, ma il Vangelo non deve entrare nella vita pubblica, la fede non c’entra con le leggi, con le disposizioni della vita civile?”. Quasi che il Vangelo fosse fatto solo per le quattro mura della Cattedrale, e la Parola esistesse per essere proclamata soltanto dal diacono nella Cattedrale senza alcun legame con la vita pubblica? Questo divorzio tra Vangelo e vita, tra fede e vita non è accettabile! Non è fede cristiana questa. Dobbiamo rimanere umani, rimaniamo umani! Con i valori dell’accoglienza, della compassione dei più deboli, della difesa dei poveri, dell’accoglienza e della fraternità. Se perdiamo questo, cari amici, diventiamo disumani, diventiamo animali, regrediamo a livello di bestie, perché oggi è questo e domani sarà un altro fattore.
Maleducazione.
Dobbiamo rimanere umani, e a questo proposito permettetemi di dire che questo emerge spesso nell’uso dei Social, soprattutto Facebook. Reazioni volgari, polemiche, cattiva educazione, malacreanza dilagante. Molti che usano Facebook e altri Social sono incapaci di relazionarsi agli altri in modo civile. E’ un grande strumento Facebook, ma bisogna saperlo usare. Relazionarsi agli altri in modo civile e’ prima di tutto un problema di educazione, che si apprende non sulla Rete ma anzitutto in famiglia, si apprende sui banchi di scuola.
Ma occorre anche una Educazione Digitale. Dietro un tastiera, nella solitudine della propria stanza, le persone rispondono a forme di coscienza fai da te, in cui confondono la libertà di pensiero con l’insulto, senza percepire le conseguenze e senza avvertire di dover rispondere delle proprie parole. Dobbiamo ancora crescere, e crescere molto nella “educazione digitale”, perché non capiti che questi grandi strumenti mediatici siano messi in mano a uomini primitivi, che li usano male: sarebbe molto grave. Restiamo umani, e siamo educati nell’uso dei Social, siamo civili, non indulgiamo alla tentazione dell’insulto, della cattiva educazione, della malacreanza, perché non è degno degli uomini.
Criminalità.
L’ultimo segno di morte è recentissimo. Mi riferisco a gravi episodi di intimidazione camorristica subiti da alcuni commercianti in questi ultimi tempi. Mentre esprimo la mia solidarietà, e la solidarietà della Chiesa, verso questi nostri fratelli – questo impone a noi Chiesa, a noi parrocchie, di accrescere il lavoro di educazione alla giustizia, educazione alla legalità – occorre che tutti si passino la mano per la coscienza e superino il clima omertoso. Non è degno dell’uomo del ventunesimo secolo, del terzo millennio, che ci siano ancora queste forme gravi che avviliscono e offendono la dignità dell’uomo: uno lavora, uno suda, uno si affatica e un altro, sfaticato, succhia il suo sangue impunemente. Bisogna ribellarsi a tutto questo e presidiare sempre meglio il nostro territorio (mi riferisco in particolare e soprattutto al cento storico della città, allo spiazzo della nostra Cattedrale che sta diventando, mi dispiace dirlo, sempre più terra di nessuno dove tutti fanno il bello e il cattivo tempo). Fa piacere che l’Amministrazione Comunale abbia fatto un’ordinanza tempo fa in cui dà sgravi fiscali a quelli che denunciano, ma bisogna seriamente su questo punto non rassegnarsi. Sono un segno di morte e di inciviltà questi episodi di estorsione.
Vittoria.
Ecco il drago. Non è una fantasia. Il drago significa tutto questo, che insidia la nostra speranza. Possiamo fare festa oggi perché sappiamo che il drago non vincerà, che non ha vinto in Gesù Crocifisso e Risorto, non ha vinto con Lei, la Madonna, la Madre di Gesù, che oggi festeggiamo come Assunta in Cielo in corpo e anima.
La vittoria è del bene sul male, la vittoria è di Gesù sul drago, la vittoria è della Resurrezione sulla morte. Questa è la nostra fede, questa è la nostra speranza. Mettiamoci del nostro perché in questa guerra a cui partecipiamo ogni giorno tra bene e male noi possiamo schieraci bene. Schieriamoci bene: da quale parte vogliamo stare?
E che la Madonna ci protegga e ci accompagni, che ci faccia stare dalla parte del bene, mai del male; della vita, mai della morte; della giustizia, e mai dell’illegalità!
Perché abbiamo un Capo, e abbiamo una Madre, che ci guidano e vogliono che noi siamo figli buoni, giusti, operosi, che credono nella speranza che il bene trionferà.
Cattedrale di Acerra, 15 agosto 2018
Dalla registrazione dell’omelia
del vescovo Antonio Di Donna