Una serata per «investire sulla carità» e «non mancare alla nostra vocazione di cristiani», offerta alle Caritas parrocchiali dalla diocesi di Acerra giovedì 13 dicembre. Convocati nella Biblioteca diocesana, i volontari hanno «rimotivato» il loro impegno ascoltando don Salvatore Ferdinandi, vicedirettore di Caritas italiana, che la mattina aveva parlato al ritiro mensile del clero. Un modo per prepararsi al Natale, definito «l’evento carità di Dio» dal vescovo monsignor Giovanni Rinaldi, per il quale «la carità non è un opzione ma il senso stesso della vita della Chiesa».
Don Ferdinandi, su invito del direttore diocesano Maria Pia Messina, ha offerto una «lezione» sulla Caritas, organismo pastorale voluto dai vescovi italiani nel 1971 come «frutto del Concilio Vaticano II». Ma per capirne la «natura» e le «finalità», ancora oggi è necessario un «salto di qualità». A partire da un’analisi attenta del «contesto» e dei «bisogni» che «ci interpellano oggi» e dal concetto di povertà, che «non è solo materiale», perché alla «classica» mancanza di beni primari si aggiungono le povertà «relazionali», di «senso» e, dal combinarsi delle precedenti, le «povertà multidimensionali».
Dato scontato, ma non per questo meno sconfortante, la Campania precede solamente tre regioni nella classifica italiana delle povertà.
A parere del responsabile area promozione di Caritas italiana, è urgente «un cambio di mentalità», per «intercettare i nuovi luoghi della precarietà». «Prima del bisogno ci sono le persone, da ascoltare, conoscere ed aiutare» attraverso uno stile di vita «accogliente», senza pregiudizi e con «sobrietà». La condivisione, l’empatia, il coinvolgimento, aiutano ad instaurare quelle «buone relazioni» che permettono alla persona in difficoltà di «recuperarsi» e riprendere, anche dal gradino più basso, il cammino verso la realizzazione del progetto di vita unico, prezioso e irripetibile che Dio ha pensato dall’eternità per ognuno, ovunque egli viva e si trovi. Finalità dell’azione della Caritas è l’evangelizzazione, l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo di liberazione, la promozione del bene integrale dell’uomo. Per questo, carità è «aiutare a vivere la santità». Il cristiano si differenzia dal non credente poiché agisce per l’inarrestabile desiderio di comunicare ai suoi compagni di viaggio l’amore infinto di Dio da cui è stato raggiunto; l’ateo opera con gesti di «solidarietà» nei confronti dei suoi simili.
Il volontario della carità non può pensare di agire da solo. Destinatari della sua attività sono la comunità cristiana e il territorio. La prima finalità della Caritas è pedagogica: educare l’intera comunità cristiana alla comunione e a stili di vita fraterni, per favorire il «ritorno» della persona in difficoltà, perché «l’uomo è relazione». Il povero non è un «corpo estraneo» da espellere ma «un capolavoro di Dio» da recuperare alla sua bellezza.
Altro riferimento è il territorio. Le persone devono ritrovare fiducia in se stesse, negli altri e nelle istituzioni. Organo istituzionale della Chiesa, la Caritas promuove azioni di stimolo per il «completamento della giustizia», superandola nella gratuità. Fare carità è operare per il «bene comune».
All’uscita, il messaggio era chiaro alle decine di animatori intervenuti: non solitari, a distribuire pacchi e in fuga dalle proprie responsabilità, ma cristiani, uomini e donne, di qualsiasi condizione sociale, che vivono e promuovono stili di vita ispirati alla carità.