Giovedì 19 gennaio una «moltitudine di popolo si è messo in cammino» dalle parrocchie dei comuni della diocesi di Acerra per compiere un «pellegrinaggio che ormai da alcuni anni è diventato per noi una consuetudine».
Lo ha detto il vescovo Antonio Di Donna nell’omelia della Messa a Pompei, celebrata dopo la recita del Santo Rosario. In più di mille hanno raggiunto il Santuario della Beata Vergine del Rosario: un’esperienza nata insieme ad altre Chiese della Campania ma che in poche continuano a vivere.
La Chiesa di Acerra ha vissuto «il settimo pellegrinaggio per le vocazioni alla casa della Madre». Non solo «al sacerdozio e alla vita consacrata», di cui certamente «abbiamo tanto bisogno», ma anche «alla vita coniugale, all’impegno nella carità e nella politica, al volontariato e all’opera di evangelizzazione nelle parrocchie» ha detto il presule. Ma soprattutto ha precisato che alla base di tutte c’è una più «grande e profonda» scelta: «la vita come una chiamata», perché se l’esistenza non si fa «dono e servizio», qualunque sia il nostro posto in Chiesa o società, esso diventa «possesso da gestire per i propri interessi, egoismo che rende freddi e burocrati non solo i preti ma anche i papà e le mamme, e gli sposi tra loro». Il vescovo ha chiesto perciò per tutti «il dono di sapere vivere la vita come una chiamata». Soprattutto per i «giovani» chiamati a scegliere e «capire cosa il Signore vuole da loro». Purtroppo «uno dei grandi peccati della nostra società basata sulla competizione e sul profitto impedisce loro di fare ciò che desiderano costringendoli a ripiegare su altro» ha denunciato con rammarico il vescovo.
Il modello per eccellenza è innanzitutto «il Verbo Eterno che ha pronunciato al Padre il suo “eccomi, io vengo per fare la tua volontà”». Gesù è mosso da «sollecitudine verso tutti, mangiato dalla gente» ha detto monsignor Di Donna, dimostrandoci che «Dio non è mai troppo impegnato o distratto» e «ama ciascuno come se in quel momento fossimo l’unico oggetto del suo amore». Il «secondo “eccomi”» è quello pronunciato «in terra da Maria nella penombra della Casa di Nazareth».
Infine, c’è «un altro eccomi», quello di Bartolo Longo dalla cui illuminazione interiore del 1872, «Se cerchi salvezza propaga il Rosario», tutto ha avuto inizio. E una valle desolata e abbandonata diventa luogo universale di devozione, di preghiera e di carità. Un avvocato di Napoli, di origini pugliesi, che andava a Pompei per curare i beni fondiari di una contessa, fa della città «un santuario della fede e della carità» ha detto nel saluto iniziale l’arcivescovo prelato, Tommaso Caputo, sottolineando che «la preghiera evangelica del Rosario ci fa entrare nel mistero di Cristo accompagnati dalla Madre».
Prima di lui il Rettore del santuario, don Pasquale Mocerino, aveva spiegato ai fedeli che ancora oggi, nell’Anno in cui si celebrano 150 anni dall’illuminazione del Beato, Pompei continua ad essere un miracolo d’amore, «una dimostrazione storica di come Dio trasforma il mondo» ebbe a dire Benedetto XVI. Perciò «ai piedi della Vergine le famiglie ritrovano la forza che le mantiene unite» ha detto don Pasquale, per il quale Bartolo Longo è «un uomo che si è lasciato condurre dalla Provvidenza, un battezzato che vive fino in fondo la sua vocazione laica, animato da profonda spiritualità, un testimone e samaritano dei nostri tempi». E Pompei «esempio concreto di come la fede sa agire nella storia degli uomini».