Contro il rischio di «dilapidare» il nostro patrimonio religioso e culturale, e per evitare il pericolo di «scivolare verso il baratro dei disvalori», «la città ha bisogno di una Stella polare, che assicuri lo spirito unitario, la concordia che superi le faziosità e le rivalità, le divisioni e le gelosie».
E’ questa l’esortazione con cui monsignor Rinaldi, vescovo di Acerra, ha chiamato nei giorni scorsi i cittadini di Acerra a raccogliersi intorno ai protettori Cuono e Figlio per la tradizionale festa.
Nel mezzo della settimana di celebrazioni in onore dei santi patroni, la cui festa cade il 29 maggio, abbiamo incontrato monsignor Salvatore Petrella, Rettore della Chiesa dei santi Cuono e Figlio, e memoria storica della città e della Chiesa di Acerra. Già parroco della cattedrale per oltre cinquant’anni, e ora vicario generale, da qualche anno don Salvatore è responsabile della Rettoria. Varcata la soglia della Chiesa addobbata a festa, ci invade un dolce profumo, simbolo della carica del sacerdote, ultraottantenne, ma saldo nella fede e giovane nello spirito.
Ancora un anno con i santi Cuono e Figlio. Allora Dio non è stanco della nostra città?
«Dio certamente non è stanco della nostra città perché mai smette di farci il dono della fede nel suo Figlio Gesù Cristo, morto e Risorto per la nostra salvezza. Il Signore ci ha donato suo Figlio, e ancora oggi non cessa di amare il suo popolo, in particolare la porzione di Acerra per intercessione dei santi Cuono e Figlio».
Cosa significa oggi fare festa per i santi patroni?
«La vera festa non si limita all’aspetto esteriore, al ballo o al canto, ma ci rimanda al Mistero della morte e Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Di fronte alla Buona Notizia di Gesù Crocifisso che risorge dai morti, i cristiani, in particolar modo la domenica, dovrebbero fare salti di gioia. La festa vera è la gioia che ci proviene dalla fede che professiamo: credere in Cristo morto e Risorto. E il santo è colui che ha creduto a tale mistero e lo ha trasmesso a noi, nel caso dei nostri protettori fino al martirio, al sacrificio estremo. I santi ci trasmettono la fede attraverso la testimonianza di una vita vissuta cristianamente».
Cosa hanno da dire alla città i santi patroni?
«In un tempo in cui la società, e la Chiesa in particolare, pongono al centro delle loro preoccupazioni il problema dell’educazione, i santi Cuono e Figlio costituiscono un vero esempio per la trasmissione della fede. Ad Iconio, loro città di origine, essi si convertirono grazie alla predicazione di san Paolo, mettendo se stessi e i propri talenti al servizio del Bene comune fino a morire martiri per la fede. Conello, in particolare, fu investito a soli 12 anni del ministero del lettorato e del diaconato. Il vescovo rimase ammirato dalla fede e maturità del giovane. Fede che era frutto della testimonianza del padre, rimasto presto vedovo. I santi Cuono e Conello sono modelli da seguire e imitare. Dio, per la loro fede, li ha premiati con il Paradiso e ha permesso che i loro resti arrivassero fino a noi per essere onorati e venerati. E che le loro ossa si siano conservate per millenni, nonostante la nostra trascuratezza, è certamente segno della benevolenza infinita di Dio per la nostra città. Dobbiamo tutti evitare il rischio, presente in ogni epoca, delle sterili lamentazioni, e imparare a scorgere le meraviglie che Dio compie per il suo popolo. Il Regno di Dio è simile ad un granello di senape che, con il nostro impegno, deve diventare l’arbusto sotto i cui rami tutto il popolo di Acerra potrà proteggersi. I santi Cuono e Figlo ci mostrano che la santità è per tutti. Invochiamo la loro intercessione perché il buon Dio rafforzi la nostra fede e moltiplichi l’amore, garantendo pace e prosperità a tutti».