Il vescovo di Acerra Antonio Di Donna lo ripete con insistenza da quando ha messo piede in diocesi: «Abbiamo un disperato bisogno della domenica per mantenere salda la nostra identità di cristiani». E «fedele» a quanto ha promesso fin dall’inizio, ha scelto anche per il Convegno ecclesiale che introduce l’Anno pastorale alle porte un tema tratto Orientamenti pastorali pluriennali “Riscaldare il cuore. La conversione missionaria della pastorale ordinaria”, consegnati alla Chiesa locale nel 2014 e nei quali dedica ampio spazio al «Giorno del Signore».Per il 2017 monsignor Di Donna ha voluto offrire alla riflessione dei circa 700 partecipanti al tradizionale appuntamento – giunto alla edizione numero 37 e considerato dallo stesso vescovo, insieme alla Messa Crismale del Giovedì Santo, la «massima espressione» dell’unità della Chiesa locale, una «occasione solenne» che mette «tutti insieme» – il legame tra «Eucaristia della domenica» e «impegno sociale e civile dei cristiani», in particolare dei laici e delle laiche chiamati con la loro «indole secolare» a «calare il sale del Vangelo» nella società, a partire dalla famiglia fino all’economia, alla cultura e alla politica. Perciò il presule ha scelto il significativo titolo: “La Messa è finita, andate in pace. Dall’Eucaristia domenicale all’impegno per la città” .Introducendo i lavori ieri sera in Cattedrale, monsignor Di Donna ha parlato dunque dell’importanza del Giorno del Signore per i cristiani, mentre Mario Di Costanzo, responsabile della formazione socio-politica e laico di lungo corso al servizio della Chiesa di Napoli ma anche regionale e italiana, ha declinato le caratteristiche dell’impegno sociale dei cattolici a partire dal magistero. Le note di una Comunità cristiana«Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune». A partire da Atti degli apostoli 2, 42-44, brano che «molti conoscono a memoria», il vescovo ha elencato le «quattro note di una Comunità cristiana di ieri, di oggi e di domani» (l’«insegnamento degli apostoli», la «frazione del pane», la «preghiera» e la «comunione»). Assidui nello Spezzare il PaneIn particolare monsignor Di Donna si è soffermato sulla seconda, questo essere «assidui nello spezzare il pane» che è «il più antico nome dell’Eucaristia» e che Paolo poi chiamerà «Cena del Signore», fino alla definizione «Santa Messa» giunta a noi dalla tradizione medievale.La domenica è il «Dies Domini, il Giorno del Signore» e questo nome è stato coniato proprio dai cristiani che cambiarono il «giorno del sole dell’antica nomenclatura latina (ancora oggi mantenuta in Inglese “Sunday” e tedesco “Sontag”) in Giorno del Signore».Il primo giorno della settimana fu dunque chiamato «Domenica» perché in esso si celebra la «Pasqua della Settimana». E «per i primi due secoli non c’erano feste cristiane» se non la domenica; lo stesso «Natale è arrivato nel IV secolo», ha detto ancora il vescovo ricordando i 49 Martiri di Abitene (attuale Tunisia) che nel 304 d.C. si opposero alla persecuzione contro i cristiani operata dall’imperatore Diocleziano affrontando la morte pur di non rinunciare al Giorno del Signore con la famosa frase «senza la domenica non possiamo vivere».La domenica, ha quasi ammonito il vescovo, l’ha scelta e «inventata» il Signore offrendola a noi come «suo giorno» (in tal senso il presule ha ricordato che le «apparizioni» di Gesù Risorto ai discepoli nei Vangeli sono richiamate tutte di domenica e che ad Emmaus «Gesù si lascia riconoscere in due modi: nello spiegare la Scrittura e nello spezzare il Pane», che poi sono la nostra «Liturgia della Parola» e la nostra «Liturgia Eucaristica») perché noi ne «abbiamo bisogno», non è semplicemente una «questione di precetto» bensì è in gioco «la nostra identità di cristiani» perché «la fede è per la vita».Tanto da citare la Prima Apologia di Giustino del 150 d.C. (i cristiani ancora non avevano cambiato ancora il nome alla festa da “giorno del sole” in “Giorno del Signore”) dove al numero 61 questo filosofo cristiano del II secolo offre una bellissima descrizione della Messa nei primi secoli. E provocatoriamente, lo stesso Di Donna ha ricordato che «la terza delle “Dieci Parole”(Comandamenti), “ricordati di santificare le feste” non è stata abolita. La disaffezione alla Messa della DomenicaEcco allora la domanda bruciante: se la partecipazione alla Messa della domenica non può essere posta in discussione dal «criterio soggettivo» del «secondo me» e del «sentimento» (“vado a Messa quando mi sento di andare”), da dove viene la «disaffezione di tanti cristiani all’Eucaristia» e il conseguente «abbandono della Messa domenicale, soprattutto dei giovani?». Sono gli interrogativi delle pagine 58 e 59 degli Orientamenti “Riscaldare il Cuore”, che il vescovo Di Donna ha riletto e ai quali ha cercato di dare spiegazione partendo dalla «crisi di fede», da una «cultura soggettivista imperante» e dalla mentalità «consumistica» del «fine settimana», con i centri commerciali che prendono per il collo i poveri costretti a lavorare la domenica. A tal proposito il presule ha parlato di pacifico «boicottaggio» citando il vescovo di Campobasso, Giancarlo Bregantini, per il quale «abbiamo combattuto poco» lasciandoci «bruciare» la domenica, «non abbiamo messo un argine significativo e abbiamo perso la sacralità della domenica». Ma «se cade il rispetto di Dio» e la Messa diventa un «optional», «cade anche il rispetto dell’uomo» ha ancora aggiunto Di Donna denunciando l’«assurdo di fede, teologico e pastorale» di ragazzi e giovani che arrivano alla Prima Comunione o alla Cresima con il rischio che quella sia la loro «prima (e forse l’ultima per un po’ di tempo) Messa» (Orientamenti, p. 60). Portare a GesùDa questo dato di «fatto» il vescovo di Acerra ha elaborato l’ipotesi, citando il predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa, che la disaffezione alla Messa domenicale derivi dal nostro «Cristianesimo senza Cristo», ridotto a qualcosa di «impersonale», ad un «tema» o «argomento», piuttosto che ad una «persona viva», ad un «amico» da incontrare. Ma siccome «l’Eucaristia fa parte del nostro essere “interiore” ed è un nostro bisogno», dobbiamo «educare ad una relazione d’amore». Come due «innamorati» che si incontrano, per cui i cristiani dovrebbero quasi dire: «Vado all’appuntamento dove mi aspetta il mio innamorato» piuttosto che «vado a Messa». «Innamoramento» che porta, come tra due giovani, ad un «cambiamento di vita».Purtroppo, ha detto il vescovo, «il cammino» di preparazione alla Prima Comunione «non mette al centro l’educazione al rapporto con il Signore» con l’obiettivo di «far innamorare» i ragazzi «di Lui» e quindi far nascere quel «bisogno» e «desiderio» che colma ogni altro. Cosa fare«Pur adoperandoci tanto, noi non portiamo a Gesù» ha detto il presule, che poi si è chiesto: «Come far innamorare i ragazzi di Gesù?». «Mettendoci tutti in discussione», è stata la risposta, evangelizzando per «attrazione e contagio» e «non per costrizione», e ricreando quella vecchia «atmosfera» («andata persa negli ultimi decenni nonostante gli sforzi fatti per rinnovare la catechesi») in cui la stessa comunità di preghiera «educava» in un clima profondo suscitando il «bisogno di un rapporto personale», mentre dalle nostre parti «si partecipa ma mancano la relazione reale e personale con Gesù e le relazioni tra noi» rischiano di diventare di «ufficio» e le nostre Comunità trasformarsi in «onlus», in «assemblee anonime» dove anche «lo scambio della pace avviene tra sconosciuti che neanche si guardano in faccia». Diventa urgente, allora, far passare «tutti insieme» la mentalità che «la partecipazione non è un sentimento» ma è «il criterio assoluto e fondamentale per l’identità cristiana», perché quanto accadde ad Emmaus di cui ci raccontano i Vangeli «non è una semplice informazione» ma è una chiara indicazione di «dove e come incontrare ancora oggi, nel 2017 ad Acerra, Gesù di Nazareth», e cioè «nell’ascolto della Parola e nello spezzare il Pane». «E’ Gesù stesso a dircelo, è il Signore a stabilire come incontrarci con Lui», ha esortato il presule, per cui è necessario, soprattutto tra quelli che «sistematicamente assenti» dalla Messa domenicale mettono «in crisi» la loro fede, «combattere la mentalità che si può essere cristiani senza la domenica», e «insistere in tutti i modi» che «i sacramenti non sono un diritto».Per riuscire in questa impresa, bisogna «presentare bene» l’Eucaristia (Orientamenti, pagg. 62-67) perché «l’uomo ha bisogno della festa» e di «occasioni di esperienza comunitaria nella parrocchia». E siccome «ad amare si impara», bisogna far capire che «al catechismo non si viene per fare la Prima Comunione ma per conoscere e amare Gesù» senza «dare per scontata la conoscenza automatica della domenica» bensì spiegandone il senso attraverso la «catechesi» affinché essa sia vissuta «bene». A tal proposito, il vescovo ha citato una bella illustrazione dell’importanza della Messa sul giornalino parrocchiale di San Pietro a Talanico.Il vescovo ha sottolineato poi l’importanza della «qualità delle celebrazioni», invitando a creare «gruppi di animazione liturgica», da una «accoglienza» degna della Messa, dalla proclamazione decorosa e chiara della Parola di Dio («ascolta Israele»), da un’omelia all’altezza, da una preghiera universale che sappia coinvolgere la Comunità, da una processione essenziale con «pochi segni» all’Offertorio, da un canto che renda protagonista il «popolo» di Dio, per una Celebrazione Eucaristica «seria, semplice e bella», capace di suscitare il «desiderio» di Dio. In conclusione, il vescovo ha ancora rimandato agli Orientamenti pastorali pluriennali invocando il coraggio di abbandonare il ragionamento politicamente corretto dei numeri e della quantità di fedeli e assumere la partecipazione all’Eucaristia domenicale quale «primo criterio per l’ammissione ai sacramenti» fino all’esclusione quando il candidato non si presenta «idoneo».E ricordando “La Tradizione apostolica” del (III Secolo), il vescovo ha richiamato «gli scrutinii della Chiesa antica», in particolare «l’ultimo, commovente: la carità verso gli orfani e le vedove».Anche oggi dunque la Chiesa è chiamata a fare «la verifica sui poveri e l’Eucaristia», fin dall’inizio, «coinvolgendo prima solo i genitori» nella consapevolezza che «si viene per amare Gesù» e verificando nel tempo il cammino con un capovolgimento dei criteri: «L’incontro catechistico è la domenica, poi la catechesi!». Un «cammino di incontro con Gesù», fatto di «buone celebrazioni», di «catechesi sulla domenica», per «iniziare i ragazzi all’amore» per il Signore.Infine il vescovo ha letto la commovente testimonianza sull’importanza e la bellezza dell’Eucaristia da parte di un prete iracheno ucciso dai terroristi, definendolo un «martire dei nostri giorni».
La Messa è finita, andate in pace. Dall’Eucaristia domenicale all’impegno per la città
Aperto ieri il XXXVII Convegno ecclesiale della diocesi di Acerra. Il vescovo Antonio Di Donna: «La Messa è un nostro bisogno». Oggi i lavori di gruppo. Domani le conclusioni del vescovo e il concerto finale eseguito dal gruppo musicale “The Sun". Di seguito una sintesi dell’intervento del Vescovo
La Messa è per la nostra identità