Dopo aver guarito dieci lebbrosi, Gesù si sorprende del fatto che solo uno ritorni a ringraziarlo. «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». E il lebbroso che ritorna è uno straniero. Perché resta così sorpreso? Eppure lui stesso poco prima ha invitato i discepoli ad un servizio senza pretese: «Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).
I lebbrosi gridano tutta la loro disperazione: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». La loro malattia li escludeva dalla società, li allontanava dalla famiglia. Fanno subito ciò che il maestro dice, si fidano di lui e vengono purificati lungo la strada. Vedendosi guariti, tutti avranno aumentato il passo per poter al più presto riabbracciare i loro cari, condividere la loro gioia. Uno solo, invece, si ferma, riflette sul dono che ha ricevuto e pensa a colui che glielo ha dato, condivide prima di tutto con lui la gioia della guarigione. Prima è rimasto a distanza, non poteva avvicinarsi, adesso lo può abbracciare, si prostra ai suoi piedi; forse Gesù ad un certo punto l’ha dovuto fermare perché continuava a ringraziarlo e a lodarlo.
Fin da bambini ci hanno insegnato a ringraziare, ma il valore del ringraziamento è molto più di un gesto educato, è frutto della consapevolezza che abbiamo ricevuto tutto da Dio, per grazia, gratuitamente e che nulla possiamo pretendere. Paolo dice ai Corinti: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). Tornare indietro, ringraziare ci aiuta a capire che non siamo soli, che c’è qualcuno che si prende cura di noi; ci libera da ogni pretesa, dall’ansia per ciò che non abbiamo e ci fa entrare nella logica della gratuità e della condivisione. La gratitudine ci fa vedere il bene e il bello che c’è in noi e intorno a noi, ci fa apprezzare ciò che hanno e fanno gli altri, ci fa gioire con loro e ci libera dall’invidia.
La Chiesa ci insegna che ringraziare è una cosa buona e giusta, è un nostro dovere ed è fonte di salvezza (cf Prefazio). Lo straniero che torna indietro, che ringrazia, riceve molto più degli altri, accoglie la salvezza frutto della sua fede: «la tua fede ti ha salvato!». Ringraziare apre ancor più il cuore, permette all’altro di continuare a prendersi cura di noi e permette a noi di custodire gelosamente e usare bene i doni ricevuti. Abbiamo dato per scontato il dono del Creato, abbiamo ringraziato poco, lo abbiamo custodito male e maltrattato. Francesco d lodando il Signore per tutte le sue creature (cf Cantico delle creature) ha imparato ad usarle bene e a rispettarle.
Impariamo da Maria a ringraziare, chiediamo il dono dell’umiltà, di riconoscere che senza Dio non abbiamo nulla e non possiamo fare nulla.
Allora ogni giorno, fermiamoci un momento, torniamo indietro, riconosciamo i doni che abbiamo ricevuto, i miracoli che Gesù ha fatto per noi, magari non sono clamorosi, ma lo stesso sono fondamentali per la nostra vita.
Maria nel Magnificat ha elencato le azioni che Dio compie a favore degli umili e dei più poveri: facciamo anche noi una lista e diciamo concretamente a Gesù per cosa lo ringraziamo. Allo stesso modo “torniamo indietro” e ringraziamo le persone che ci hanno fatto del bene, fosse anche un semplice sorriso perché ogni dono, piccolo o grande, riempie la nostra vita e ci dà occasione per riconoscere quanto è prezioso il dono della nostra fede in Dio.
don Alfonso Lettieri