«Gesù di Nazareth, il Crocifisso, è risuscitato». L’annuncio più sconvolgente della storia è risuonato ancora una volta nella Cattedrale di Acerra, in tutte le chiese della nostra diocesi e del mondo nella Pasqua 2015 che stiamo festeggiando. Lo simboleggia «in maniera grande il cero pasquale acceso nella grande veglia notturna e che rimarrà in Cattedrale, solenne, fino a Pentecoste, per i 50 giorni della Pasqua». Il vescovo Antonio Di Donna ha concluso i riti con la grande veglia di sabato notte e la Messa solenne in Cattedrale domenica mattina, e ha richiamato l’attenzione dei fedeli sui segni della Pasqua, in particolare «il cero segnato da una la Croce e dalle lettere greche Alfa e Omega», ad indicare che «Cristo Risorto è il principio e la fine, Colui che ha nelle sue mani le chiavi della storia». Anche nel 2015, perché «Cristo Risorto non è un personaggio del passato ma è il Vivente, oggi, qui, ieri e sempre».
Ma «la Resurrezione – ha detto Di Donna – non è una festa facile», perché «sconvolge i nostri schemi umani» e «non entra nell’ambito delle nostre esperienze ordinarie». Essa infatti significa «una vita nuova, nello stile, nelle scelte e nelle decisioni». E siccome «sperimentiamo così pochi reale cambiamenti, facciamo fatica a capire la cosa nuova». Anche «le tante cose nuove che continuamente ci propinano sono vecchie, rivedute e corrette. La Risurrezione è l’unica cosa veramente nuova della storia», non «un mito», o un «simbolo» della rinascita della natura con la primavera, e neanche una semplice storia a lieto fine o la rianimazione di un cadavere.
«Gesù è davvero Risorto», ha esclamato con forza Di Donna, «e da questo annuncio derivano tutti gli altri», perché «senza la Risurrezione di Gesù, tutto crolla». Si tratta della «più grande mutazione mai accaduta», il «salto decisivo verso una vita nuova che riguarda Gesù, ma insieme con Lui anche noi, tutta la storia, l’universo intero». Con la Risurrezione, «l’impossibile è diventato possibile» e credere in essa significa «rendere l’impossibile criterio di una vita e di una storia nuova».
Ce lo dicono «la santità, i nuovi rapporti e le opere di promozione dell’uomo» che l’annuncio delle donne della pietra rotolata via dal sepolcro ha prodotto in duemila anni. E «anche ad Acerra, siamo giunti ad un bivio della storia in cui o prendiamo l’impossibile e il sogno come programma di vita o non andremo lontano».
Il vescovo ha pertanto stigmatizzato «lo scetticismo che ancora oggi i potenti della storia pongono sulla Risurrezione», uno scetticismo soprattutto «pratico, che cerca invano di riporre la pietra sul sepolcro per decidere le sorti dei popoli». Questo perché, «la Risurrezione è un giudizio: lo scartato, Colui che era stato messo da parte, il Padre lo ha risuscitato», e «da pietra scartata è diventata angolare, fondamento dell’edificio della storia».
La Risurrezione dunque, «capovolge la vita: il Padre ha espresso un giudizio risuscitando quel Crocifisso» che gli uomini avevano trafitto. «Dio la pensa diversamente da noi e quel Crocifisso aveva ragione», ha ammonito il presule, e chi «percorre la vita buona, bella e beata di Gesù, chi vive, sceglie, ama, soffre come lui, vedrà il mattino della Risurrezione, l’alba di Pasqua».
Di Donna ha perciò concluso lasciando «questo messaggio fondato e questa speranza certa» alla diocesi e soprattutto alla città di Acerra, che rischia «l’apatia e la tristezza», contro la quale il vescovo ha invitato a «leggere con intelligenza e spirito libero i piccoli segni di speranza» che l’annuncio della Pasqua porta anche nella nostra Città, come gli «screening tumorali» appena partiti e la «richiesta di moratoria» fatta propria dall’amministrazione per «impedire l’insediamento di nuovi impianti inquinanti sul nostro territorio», e come anche «lo stare insieme tra medici e istituzioni sanitari» e il «tavolo tecnico chiesto alla Regione solo per Acerra perché solo ad Acerra si verificano morti anomale di giovani».
Sono «i segni di quelli che credono nella possibilità dell’impossibile», perché nonostante le «notti oscure», avremo sempre «l’angelo che ci consola e una mano che ci porta oltre gli abissi di dolore, facendoci risorgere su sponde più nobili, elevate e grandi».