Annunciare il Vangelo è la più grande forma di educazione che possiamo trasmettere, ma la trasmissione dei valori educativi non è semplice, soprattutto in un’epoca di veloci cambiamenti, carente di saldi punti di riferimento.
Il tema dell’educazione è stato al centro delle due serate di formazione rivolte a tutti gli educatori e operatori pastorali della diocesi. Il 20 e 21 settembre più di trecento persone hanno gremito il Teatro della Cattedrale di Acerra, che faceva fatica a contenerli, per ascoltare “consigli utili” dal vescovo Antonio Di Donna, ma soprattutto per ritrovare le sorgenti autentiche a cui attingere per un impegno tanto difficile quanto affascinante.
Pur ammettendo che educare non è mai stato un compito semplice, monsignor Di Donna mette subito in guardia dalla tentazione di «gettare la spugna», dal credere che una persona sia “irrecuperabile”, perché tutti siamo educabili e possiamo essere «redenti». «Non c’è alcuna alternativa all’educazione – afferma il vescovo – né esistono tempi migliori o peggiori per educare, perché ogni epoca ha le sue luci e le ombre». Tuttavia, il presule osserva che oggi gli adulti tendono ad avere atteggiamenti “giovanilistici”, che non si addicono alla loro età e al loro ruolo genitoriale, in particolar modo sta scomparendo la figura paterna. Inoltre, il genitore, assumendo il ruolo di «sindacalista» del figlio, ovvero difendendolo in ogni circostanza, viene meno al suo compito educativo, preoccupandosi, invece, di ricevere approvazione e applausi. La difficoltà dell’educare dipende anche dal fatto che i valori non si ereditano meccanicamente, ma l’accettazione degli stessi si scontra con la libertà della persona. Si spiegano, così, le situazioni in cui i figli, pur avendo alle spalle famiglie “ben educate”, non assimilano quanto è stato loro trasmesso dai genitori. L’invito del vescovo Di Donna è «guardare a Dio educatore». La Bibbia parla della pedagogia di Dio: il cammino verso la salvezza inizia quando il Signore prende per mano il popolo d’Israele, ancora bambino, bisognoso della correzione di un Dio che non è buonista, ma sa equilibrare libertà e disciplina, e giunge alla venuta di Cristo, che a sua volta educa i discepoli e le persone che incontra «nella relazione personale». Ne deriva che l’ascolto della persona viene prima dell’organizzazione delle attività, e che l’educazione è imprevedibile, perché tale è anche la persona. All’educatore non spetta, dunque, il giudizio sui risultati, perché l’educazione è un processo lento e vincolato alla libertà personale, è importante, invece, avere la consapevolezza di «aver seminato bene».
Il vescovo individua così cinque virtù che contraddistinguono l’educatore: la passione, ovvero la capacità di «sognare i ragazzi», pensare a come sottrarli alla mediocrità e all’abitudine, lasciando che s’innamorino della fede; l’accoglienza: essere persone che ascoltano, che non giudicano; la conoscenza: capire la situazione di vita delle persone; la pazienza e l’autorevolezza, chiarendo che l’autorità (dal latino augeo, accrescere) non è imporsi con la forza, ma essere credibili, avere uno stile di vita coerente con quanto si trasmette.
Tra le indicazioni, non mancano le «emergenze educative» a cui far fronte, tra queste l’educazione alla fede, educare ad essere Chiesa, ovvero curare l’appartenenza alla comunità, educare alla corresponsabilità, alla vita affettiva, all’uso critico dei mezzi di comunicazione ed educare al bene comune, ovvero educare alla giustizia e alla custodia del creato, perché si possa diventare «buoni cristiani e onesti cittadini» (Don Bosco).