Riceviamo tanti inviti, non a tutti riusciamo a rispondere, non tutti accogliamo volentieri. C’è un invito che oggi ci fa la liturgia, è l’invito alla gioia. Come rifiutarlo? Rallegrati, grida di gioia, esulta! Ma cos’è per noi la gioia? Di solito cerchiamo i motivi per gioire in una vita serena, senza problemi e preoccupazioni, nella sicurezza economica, in un lavoro stabile, nell’assenza di problemi di salute, quando gli esami all’università vanno bene… La gioia di cui si parla oggi, invece, non è legata semplicemente a qualcosa che è andato bene, ma al fatto che il Signore è vicino ed è lui «fonte di vita e di gioia» (colletta); siamo invitati a non angustiarci per nulla perché «è un salvatore potente», a lui tutto è possibile – ha detto l’angelo a Maria (cf Lc 1,38). Anche Paolo ci invita non a rallegrarci semplicemente per qualcosa che è andato bene, ma nel Signore perché «è vicino» e così ci mostra che la nostra speranza non è un vago ottimismo, un ritornello: “andrà tutto bene”, ma è fondata in Gesù ed è lui che moltiplica la gioia, aumenta la letizia (cf Is 9,2). La cosa interessante è che l’apostolo scrive queste cose quando è prigioniero, «sono in catene per Cristo» – dice (Fil 1,13), quindi non si trova in un momento felice della sua vita, eppure il suo cuore è in pace, pieno di gioia. Paolo è certo che Dio ascolta: «in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti». E questa certezza è motivo di gioia: «Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,24) – dice Gesù.
La gioia è parte integrante della vita cristiana, infatti, il Signore ci ha parlato perché la nostra gioia sia piena (cf Gv 15,11). Dio stesso gioisce per il suo popolo, «esulterà per te con grida di gioia» – dice Sofonia. «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gaudium, 1).
Rallegrati, ha detto l’angelo a Maria, «il Signore è con te» (Lc 1,28); rallegratevi, oggi viene detto a noi, perché Dio è la nostra salvezza!
E allora chiediamo anche noi: Che cosa dobbiamo fare? Giovanni ci indica due vie, due modi per conservare e donare la gioia: condivisione e giustizia. «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Non è necessario andare a cercare la gioia chissà dove, il Battista non invita a seguirlo nel deserto, ma a restare nella propria vita quotidiana, lì vanno raddrizzati i sentieri (cf Lc 3,4), avendo attenzione per gli altri, vivendo nella giustizia: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Ci possono aiutare le parole dell’Arcivescovo di Milano che nel discorso alla città nella festa di sant’Ambrogio, invita tutti a vivere con lo stile della gentilezza. Dice: «In un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell’ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale ma sinceramente fraterno». Gentilezza e fraternità – siamo tutti fratelli – ci permettono di vivere nella condivisione e nella giustizia, ci fanno gustare la gioia ed essere «lieti nella speranza» (Rm 12,12). Sperimentiamo la gioia nella fraternità vissuta con gentilezza. Della gentilezza così leggiamo nella Scrittura: «Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira» (Pr 15,1); «Una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile [gentile] le buone relazioni» (Sir 6,5). La gentilezza ci aiuta ad essere attenti, premurosi verso i fratelli, sensibili alle loro necessità, a condividere con loro la gioia.
Maria, madre amabile/gentile, fonte della nostra gioia, che ha esultato e ha condiviso la sua gioia con Elisabetta (cf Lc 1,46-47), sostenga il nostro cammino.
don Alfonso Lettieri