In questi giorni dove cerchiamo qualcuno che asciughi le nostre lacrime per la sofferenza, la paura e la morte che opprime il mondo, il Signore si presenta a noi profondamente commosso e anche lui in lacrime. Dio piange con noi, piange per noi! Però le sue non sono lacrime di impotenza, ma di misericordia e di salvezza, infondono fiducia e speranza. Ci dicono che non è lontano da noi, ma vive nelle pieghe della storia, si immerge nella nostra quotidianità, sta sulla nostra barca, prende su di sé il nostro dolore, apre strade dove noi, come Marta, non vediamo e non sappiamo come Lui possa trovare vie d’uscita: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni».
Certo, la morte è dolorosa, spezza il cuore; in questi giorni, poi, sentendo il numero dei morti ci assale l’angoscia e vorremmo che facesse come ha fatto con Lazzaro, che restituisse ai nostri affetti, oggi, i nostri cari defunti.
Proprio adesso, mentre viviamo questa emergenza, siamo chiamati a fare la nostra professione di fede insieme a Marta e a Maria. Ha detto il Papa venerdì sera: «Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te».
L’episodio di oggi è preludio alla Pasqua, rinvigorisce la nostra fede, ci fa alzare lo sguardo e fissa i nostri occhi oltre il sepolcro, oltre quella fila di camion militari che trasportano bare, non per una mera consolazione, per una pia illusione, ma per inglobare questa vita, il nostro pellegrinaggio terreno, in un orizzonte più ampio: «Io sono la risurrezione e la vita chi crede in me anche se muore vivrà».
Prendiamo a modello la preghiera delle sorelle di Betania, non si perdono in parole, puntano all’essenziale: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Non c’è bisogno di dire il nome, Dio lo conosce, Lui ci ama (cf Is 43,4) e ci chiama per nome (cf Gv 10,3). Noi siamo suoi amici (cf Gv 15,15), affidiamoci a lui con la fiducia e la confidenza di queste sorelle.
«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Queste parole fanno trasparire tutta la loro fede – lontano da Dio si muore – e la confidenza che hanno con lui. Sì, lo possiamo dire, lo rimproverano, come si fa con un amico che ami: dove sei stato? Ti abbiamo avvisato e ti presenti solo adesso? Parole che assomigliano molto alle nostre di questi giorni e non solo. Sì, Gesù arriva con molta calma quattro giorni dopo la morte di Lazzaro. Questa sua calma contrasta con la nostra urgenza: i contagiati e i morti aumentano, la paura e l’angoscia cresce, ma più che dirgli cosa deve fare, è tempo di mettere le nostre vite nelle sue mani: «qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà», di credere che lui sa «volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai» (Papa Francesco).
È tornato in Giudea pur sapendo di rischiare la vita, è tornato per amore dell’amico Lazzaro: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Tanti medici, infermieri e altri stanno andando volontariamente ad aiutare nelle zone più colpite dall’epidemia, vanno per amore dell’uomo, per solidarietà o per carità, in loro opera quell’amore che non solo sfida la morte, ma la vince perché non vanno a combattere semplicemente una malattia, ma a prendersi cura dei malati, a stare accanto a loro anche al posto dei parenti, a dare l’ultimo saluto a chi non ha potuto ricevere l’abbraccio di un figlio.
«Lazzaro, vieni fuori!». L’amore di Dio e la sua onnipotenza non si fermano mai, la sua parola è così forte da farsi spazio ovunque, da spostare i massi che ci imprigionano, fino a tirarci fuori dalla morte: chi ascolta la parola è passato dalla morte alla vita (cf Gv 5,24). La sua è una parola che dà vita, vita eterna (cf Gv 6,68).
Gesù continua oggi a piangere e a gridare davanti alla sofferenza e alla morte, non si rassegna a vedere i suoi amici soffrire o rinchiusi in un sepolcro: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe», perciò ha dato la sua vita per noi per farci vivere per sempre: «chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». I nostri cari che sono andati via in questi giorni e non abbiamo potuto salutare, un giorno li rivedremo e insieme canteremo in eterno la misericordia del Signore (cf CCC 1023ss).
«Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale» – ha detto Francesco. Allora facciamo risuonare nel silenzio di questi giorni, il nostro grido di fede: Sì, Signore, credo che tu sei la risurrezione e la vita; credo che chi crede in te, anche se muore, vivrà. «Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,10-11).
don Alfonso Lettieri