Festa di Sant’Alfonso

Omelia del vescovo

«E’ motivo di profonda gioia essere radunati dal Signore nella festa solenne del nostro grande sant’Alfonso Maria de’ Liguori». La sera del primo agosto a Santa Maria a Vico il vescovo Antonio Di Donna introduce la celebrazione eucaristica in onore del «patrono della diocesi di Acerra» e chiarisce che «ogni anno c’è la consuetudine ormai di girare le parrocchie, le chiese intitolate a lui nella nostra diocesi». E nel 2024 «è il turno di San Nicola Magno, in cui siamo radunati, che è la chiesa sua, voluta e costruita da lui quando era vescovo di Sant’Agata de’ Goti». Perciò, continua il presule all’inizio della messa, «prepariamoci a celebrare con impegno e con gioia questa celebrazione da cui trarremo l’insegnamento necessario per vivere sia come presbiteri, come vescovi, e come laici e laiche tutti i giorni».

Al termine della messa concelebrata dal vicario generale don Cuono Crimaldi e da diversi sacerdoti della diocesi, il parroco di San Nicola magno don Carmine Pirozzi ringrazia il Signore per questa «bella celebrazione» e invita a prendere un rinfrescante «sorbetto» e ad assistere i suggestivi «fuochi d’artificio» che si levano dall’edificio in piazza Roma di fronte alla Chiesa.

Il vescovo ringrazia a sua volta il parroco per la bella «ospitalità» e i sacerdoti presenti «nonostante la calura» ed esorta il sindaco Andrea Pirozzi in prima fila tra i banchi della chiesa affinché Santa Maria a Vico sia «sempre degna e all’altezza di sant’Alfonso» che con questa città ha avuto «particolare legame quando era vescovo a Sant’Agata de’ Goti» tanto da «desiderare questa stessa chiesa».

Di seguito l’omelia integrale del vescovo.

 

Nell’orazione che in questa celebrazione a nome vostro ho rivolto al Signore la Chiesa ci fa pregare così: «O Dio che susciti nella tua Chiesa forme sempre nuove di santità».

E vorrei che cominciassimo questa celebrazione con uno sguardo di contemplazione. Alla fantasia di Dio e alla creatività dello Spirito che in ogni. Tempo, in ogni stagione della storia, suscita forme nuove di santità. In ogni tempo!

Il modello è sempre Lui, il Signore Gesù, ma ogni santo, ogni santa prende da lui l’ispirazione per vivere il Vangelo in quel tempo, in quel contesto storico.

È un ritornare alla fonte: e pur attingendo tutti i santi e le sante dall’unica fonte che è il Signore Gesù, il suo Vangelo, questa fonte non si esaurisce mai. E’ la creatività dello Spirito! La fantasia dello Spirito fa sì che in ogni tempo sorgano nuove forme di santità.

Anche oggi dobbiamo crederlo, veramente e sinceramente! Anche in questo tempo difficile per noi, anche nel tempo dell’Intelligenza artificiale, di Internet e della Telematica, lo Spirito del Signore non ha cessato la sua fantasia, la sua creatività, e sta facendo sorgere nuove forme di santità nella Chiesa. Io ne sono convinto, sono sicuro di questo!

Come è successo per il nostro grande Alfonso, che in un’epoca molto impegnativa quale il secolo XVIII, il 1700 chiamato appunto il secolo dei Lumi, il secolo dell’Illuminismo, della ragione, il secolo della scienza e della tecnica, il Signore suscitò lui, Alfonso, per una forma nuova, un modello nuovo di santità.

E che cosa Alfonso ha preso dall’unico modello che è il Cristo? Che cosa ha assimilato, in che cosa è stato simile a Gesù, lo ha imitato? Ce lo ha detto la Parola di Dio che abbiamo ascoltato, in particolare il Vangelo. Alfonso ha preso da Gesù lo sguardo di tenerezza e compassione: il Vangelo dice che «il Signore vide le folle e sentì compassione verso di loro, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore».

Alfonso ha preso questo sguardo di compassione del Signore sulle moltitudini, in particolare sui poveri e gli abbandonati, sia della città di Napoli in un primo momento, che soprattutto nelle terre interne della Campania, dove vivevano veramente contadini analfabeti, abbandonati da Dio e dagli uomini, i cosiddetti «cafoni», ai quali egli si rivolge in primis per annunciare il Vangelo.

Nel marzo scorso il Papa, ai partecipanti all’annuale corso sul Foro interno che ogni anno organizza la Penitenzieria Apostolica, ha fatto una bella riflessione, un commento sull’Atto di dolore, sulla formula, la preghiera di pentimento prevista quando ci si confessa, di cui non tutti sanno, è autore proprio il nostro sant’Alfonso. E in quell’occasione il Papa l’ha definito così: «Maestro della teologia morale, pastore vicino alla gente, uomo di grande equilibrio, lontano sia dal rigorismo, sia dal lassismo».

Ed è vero: sant’Alfonso un grande merito davanti alla storia, e gli è stato riconosciuto dalla Chiesa che lo ha proclamato «Dottore della Chiesa»: ha liberato la morale cristiana da quel pericolo grave che era l’intransigenza, il rigorismo giansenista!

E per questo Alfonso fu criticato aspramente sia dai rigoristi sia dai lassisti, e dovette spesso ritornare sulle sue tesi, dovette spiegarsi, dovette ritornare a parlare delle sue posizioni in questo campo, ma per tutta la vita fu aspramente criticato sia dai rigoristi sia dai lassisti.

Proprio come oggi avviene per Papa Francesco: cambiano i tempi, c’è la distanza di più di due secoli, ma avviene la stessa cosa, e mi riferisco ad alcune parole del Papa che hanno creato un certo disorientamento. L’anno scorso, nel contesto della Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona, egli disse così: «Sulla barca della Chiesa ci deve essere spazio per tutti». Questa parola «tutti» ha fatto la storia, volle che i giovani lì a Lisbona ripetessero in spagnolo: «Todos todos, todos! Tutti, tutti tutti!». «La Chiesa», continua il Papa, «non sia una dogana per selezionare chi entra e chi non entra. Tutti, ciascuno con la sua vita, con i suoi peccati, così com’è, davanti a Dio così com’è! Tutti, tutti, non mettiamo dogane nella Chiesa».

Questo insegnamento di Papa Francesco non è nuovo. Fin dall’inizio, da quando fu eletto Papa nel lontano 2013, primo anno del suo pontificato, il Papa scriveva nella Evangelii Gaudium così: «Di frequente noi ci comportiamo come controllori della Grazia e non come facilitatori della Grazia. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno, con la sua vita faticosa».

Cari amici, cari fratelli presbiteri, in particolare! L’insistenza su una Chiesa aperta a tutti ha fatto sorgere una domanda, che ha circolato pure tra di noi, ovunque: che cosa significa questo nella pratica pastorale? Significa forse che, per esempio, bisogna dare a tutti la comunione, anche se si trovano in una situazione irregolare, cosiddetta irregolare? Cosa significano queste parole del Papa? Che la Chiesa, ad esempio, dovrebbe accettare le unioni omosessuali e metterle sullo stesso piano di quelle eterosessuali? Cosa vuol dire? Che la Chiesa dovrebbe accettare la cosiddetta teoria del genere, del «Gender»? Forse è entrato anche nella Chiesa cattolica il «relativismo»? Va bene tutto? E’ tutto uguale? E dove lo mettiamo il Vangelo con le sue esigenze, a volte severe, alte?

Intanto diciamo subito che il Papa non ha detto e non pensa che questa accoglienza universale di tutti significa, per esempio, che deve essere data a tutti la comunione, o che d’ora in poi la Chiesa smetta di proporre l’ideale del matrimonio unico per tutta la vita, o che essa cominci a parlare di omosessualità ed eterosessualità su un piano di parità, come se fosse la stessa cosa? No, il Papa non ha detto questo e non pensa questo!

Ciò che il Papa rifiuta è l’idea che alcune persone debbano prima cambiare per poi poter essere accolte nella vita della Chiesa. Accogliere tutti, così come sono: come la rete del Vangelo, di cui parla Gesù, che viene gettata nel mare e prende pesci buoni e cattivi; come il campo della Chiesa dove crescono il grano e la zizzania; come la parabola della festa di nozze del Figlio del Re, dove il Re dice ai servi: «Andate in crocicchi delle strade e chiamate tutti, tutti, sani e malati, buoni e peccatori». Poi, all’interno della comunità che accoglie tutti, ognuno cerca di andare avanti, di crescere nella preghiera, nel discernimento, alla luce della Parola di Dio, con l’aiuto dei pastori della Chiesa, che hanno soprattutto oggi il gravoso compito del discernimento. Per essere fedele alla sua missione, la Chiesa deve mantenersi in tensione tra due poli diversi tra loro, ma che bisogna tenere sempre insieme: «Insieme stanno, insieme cadono». Due poli: da una parte l’accoglienza di tutti, e dall’altra la proposta autentica del Vangelo da fare a tutti.

Allora la domanda seria è questa: come accogliere ogni persona così come è e aiutarla al tempo stesso a compiere dei passi di crescita, ad andare avanti e a raggiungere la santità? Non è sempre facile, specialmente per noi confessori, per voi presbiteri che vivete in trincea; non è sempre facile vivere questa tensione che richiede continuo discernimento! E’ sempre dietro l’angolo la tentazione, quella cioè di assolutizzare uno di questi due modi, con due false soluzioni semplicistiche: o il relativismo, il lassismo che accoglie tutti senza chiedere alcun cambiamento, o, all’opposto, il rigorismo che dice: per te che vivi in una situazione irregolare, non c’è posto nella Chiesa se non cambi e non ti conformi agli ideali.

Noi non possiamo accettare nessuna di queste due soluzioni, né il relativismo o lassismo, né il rigorismo.

E perché? Perché entrambe sono infedeli al Signore Gesù: per essere fedeli al Signore, la Chiesa deve essere un luogo di accoglienza incondizionata, per tutti; deve essere come una Madre che accoglie nella sua casa tutti i suoi figli, anche quelli che si drogano, anche quelli che conducono una vita dissoluta.

Ma per essere fedele al Signore, la Chiesa deve proporre anche la proposta «alta» di vita cristiana!

In ogni momento della storia, bisogna conoscere bene la storia e soprattutto la storia della Chiesa e della morale: in ogni momento storico si tende di più verso l’uno o l’altro polo di questa tensione.

Oggi, nel contesto culturale in cui viviamo, è evidente che si tende più verso il relativismo, il lassismo che viene fatta passare per la virtù civile della tolleranza: sarebbe facile per la Chiesa relativizzare l’ideale del Vangelo, e dire ad esempio: prima sostenevamo questo, ma i tempi sono cambiati e allora bisogna adattarsi ai tempi. Sarebbe comodo, perché la Chiesa non lo fa? Perché il Vangelo è il Vangelo, i Dieci Comandamenti sono i Dieci Comandamenti e noi, nemmeno la Chiesa, nemmeno un Papa, non abbiamo il potere di modificare la Parola di Dio. Accogliere le persone, accogliere tutti, tutti, tutti, e nello stesso tempo non relativizzare l’ideale.

È necessario integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla vita della Comunità ecclesiale perché si senta oggetto della misericordia di Dio. Misericordia che è immeritata, senza il nostro merito, è incondizionata e gratuita. Attenzione a questi tre aggettivi!

Nessuno può essere condannato per sempre, perché non è questa la logica del Vangelo: per accoglierci, Dio non vuole condizioni. Pensiamo a uno dei tanti esempi del Vangelo: Zaccheo. A Gerico Gesù pone il suo sguardo su Zaccheo che sta sull’albero e gli dice: «Scendi, oggi devo venire a casa tua». Gesù non pone a Zaccheo alcuna condizione per andare nella sua casa. E’ dopo, in seguito al suo incontro con Gesù, che Zaccheo decide di apportare alla propria vita i cambiamenti necessari.

Quanti esempi di questo tipo si trovano nell’insegnamento morale del nostro sant’Alfonso, che a differenza delle missioni che facevano altri al suo tempo, lui dice: «Noi le missioni le facciamo in modo diverso!».

E dove è questo modo diverso rispetto agli altri con cui Alfonso fa la missione popolare? Il modo diverso consiste in questo, non minacciando castighi: «Se non ti converti vai all’inferno». Ma mostrando anzitutto l’amore di Dio: «Guarda come ti ama il Signore, guarda, è venuto per te, è nato per te, è andato a morire sulla Croce per te». E questo annuncio dell’amore di Dio provoca la conversione, il pentimento, il cambiamento di vita! E’ la grande novità della morale alfonsiana, se togliamo questo Alfonso non è più nuovo, la sua forma di santità non è più una nuova forma di santità.

Noi siamo in genere, cari amici, abituati alla logica, certamente corretta, correttissima, delle tre «p»: peccato, pentimento, perdono. Al mio peccato deve seguire il mio sincero pentimento se voglio il perdono di Dio. Ma Dio è talmente grande che è padrone di stravolgere tale ordine e di procedere perdonando prima, e sperando nel pentimento del colpevole dopo. L’ordine secondo Dio in molti casi non è peccato, pentimento, perdono. Ma è invece: peccato; il suo perdono, l’amore che viene mostrato; che provoca il pentimento del peccatore. Insomma, la perfezione della giustizia in Dio è la sua misericordia!

Vorrei trarre da tutto questo due implicazioni pastorali per noi in questo tempo difficile in cui viviamo.

La prima implicazione pastorale dell’insegnamento di Sant’Alfonso e, mi permetto di aggiungere, di Papa Francesco è questa: la gioia di accogliere chiunque bussi alla nostra porta, in qualunque condizione si trovi! Dobbiamo allora chiederci con onestà, a partire da me: ci sentiamo infastiditi quando un estraneo, un diverso, un irregolare disturba la nostra routine e il nostro sistema dottrinale, o ci sentiamo felici di accoglierlo nel nome di Gesù? Ci consideriamo custodi di un club esclusivo, che è competente solo nel selezionare chi è idoneo e chi non è idoneo, oppure siamo rappresentanti di Colui che accoglieva a braccia aperte ladri e prostitute senza chiedere loro nulla? Diciamo la verità, spesso ci capita di affermare che «sì, Dio è misericordioso», però subito aggiungiamo: «Ma è anche giusto». Ed è vero, ma la mancanza di una pausa tra quel «misericordioso» e «giusto» rivela dove vogliamo che cada l’accento della nostra affermazione!

Una seconda conseguenza che vorrei trarre da questo insegnamento di sant’Alfonso è che per essere una Chiesa dove tutti sono i benvenuti, è che le nostre comunità, specialmente noi pastori, dobbiamo saper accompagnare le singole persone nei loro processi di crescita. Ed è chiaro che anche le singole persone devono accettare di farsi accompagnare in un processo di crescita.

Al giorno d’oggi ogni caso è unico, dobbiamo avere certo dei criteri, molti richiedono i criteri, vorrebbero le ricette, ma non è possibile che tutto sia stabilito nei regolamenti della segreteria parrocchiale con pignoleria notarile. Anche in questo la Chiesa deve essere Madre, saper accogliere e accompagnare ogni persona nella specificità della sua situazione particolare. Qualsiasi madre, o padre, sa che ciò che va bene nel crescere un figlio potrebbe non funzionare altrettanto bene nel crescerne un altro. Per esempio: uno potrebbe aver bisogno di regole più ferree e un altro potrebbe aver bisogno di più effusioni di tenerezza.

Questo accompagnamento personale richiede, cari amici presbiteri e parroci, richiede disponibilità di tempo; questo accompagnamento personale è incompatibile con parroci frettolosi che non hanno tempo. Forse non sempre l’accompagnamento personale può essere svolto da sacerdoti: ci sono religiose, religiosi e laici capaci di farlo. Ma il pastore della comunità dovrà sempre lasciare il suo ufficio per avvicinarsi a ciascun parrocchiano, incontrarlo personalmente e accompagnarlo nel tunnel fino a giungere con il discernimento adeguato alla conclusione.

Cari fratelli e sorelle, l’insistenza di Papa Francesco sull’accogliere tutti, tutti, tutti, non significa alcun relativismo rispetto agli ideali; come l’insegnamento di sant’Alfonso non significa alcun cedimento al lassismo.

Gli ideali rimangono intatti, il Vangelo rimane Vangelo. Il Papa afferma che la Chiesa deve saper accogliere tutti, ma non dice, né può dire come questo debba avvenire caso per caso. Sono le comunità locali, sono i pastori che dovranno trovare la maniera per aiutare ogni persona ad andare avanti. Le scelte non sono né facili né ovvie. Certo, chi vuole scansare la fatica e la necessità del discernimento. Chi per non discernere, vuole che tutto sia chiaro e preciso, sarà costretto prima o poi, purtroppo, a scegliere o l’una o l’altra delle due false soluzioni che ho descritto sopra: Il relativismo/lassismo o il rigorismo! E’ comodo adottare una delle due soluzioni ignorando l’altra, perché è faticoso l’esercizio del discernimento. Ma entrambe queste soluzioni, lo ricordo ancora una volta, pervertono la Chiesa perché separano il corpo di Cristo dal suo Capo. Perché una comunità possa accogliere bene come faceva il Signore, deve curare la propria offerta pastorale e la formazione dei suoi ministri. Questo chiarimento, che la Chiesa è per tutti, dovrebbe riempire di gioia ciascuno di noi. Quanto è bello che la Chiesa sia per tutti! Todos, todos, todos! È un bene che essa non sia riservata solo a coloro che già vivono secondo l’ideale, e fanno bene, e meritano la nostra approvazione. Ma nel momento in cui quelli che vivono già secondo gli ideali giudicano, discriminano, emarginano gli altri, da santi diventano farisei! Se così fosse, se veramente la Chiesa non fosse per tutti, chi vi troverebbe posto? Che ne sarebbe di ognuno di noi? Noi ci entreremo in una Chiesa così, se volessimo una Chiesa solo per i perfetti?

Chiediamo al Signore, per intercessione del nostro grande, grande, grande sant’Alfonso, che parlava di una «copiosa redenzione», perché presso Dio la redenzione è «abbondante»,  l’«abbondante redenzione del Signore». Domenica scorsa nel Vangelo della «moltiplicazione dei pani» abbiamo visto questa «abbondanza»: vengono raccolti «dodici canestri di pane» rimasto. Dio non bada a spese quando elargisce i suoi doni: e nelle nozze di Cana «cambia in vino più di 500 litri di acqua». Abbondanza: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Copiosa, abbondante redenzione. La redenzione presso Dio è abbondante.

Chiediamo al Signore per intercessione di sant’ Alfonso e possiamo sempre più entrare in questa logica, che è la logica del Vangelo.

 

+ Antonio Di Donna
Parrocchia San Nicola Magno
Santa Maria a Vico, 1 agosto 2024

 

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