«Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» – chiede il dottore della legge. Fa questa domanda per mettere alla prova Gesù, ma è una domanda molto interessante. È ciò che desideriamo sapere anche noi: cosa fare per essere felici oggi e per sempre? Rimandato alla legge, il dottore stesso trova la risposta: per avere la vita eterna, per essere felici sempre, è necessario amare e farlo in un modo che non prevede mezze misure: con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente. L’amore è se stesso solo quando è donato totalmente. E l’amore che vogliamo per noi, siamo chiamati a donarlo agli altri. Solo così possiamo avere la felicità che desideriamo: fa’ questo, ama così e vivrai – afferma Gesù. Forse temiamo di non riuscire ad amare in questo modo, ma prima di concentrarci su di noi, pensiamo prima di tutto che noi siamo amati così: Dio ci ama con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutta la sua forza e con tutta la sua mente. E ci ama così da sempre e per sempre, lo afferma san Paolo: Cristo mi ha amato e ha consegnato tutto se stesso per me, per ciascuno di noi! (cf Gal 2,20). E nella Messa lo sperimentiamo: nell’Eucaristia ci dona tutto se stesso, noi riceviamo lui, tutto il suo cuore, tutta la sua anima, tutta la sua forza, tutta la sua mente: lui si dona interamente a noi, non trattiene nulla per sé. «Tutta l’umanità trepidi – diceva san Francesco –, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo».
Un’altra domanda interessante pone il dottore: «E chi è il mio prossimo?». Chi e quando devo amare così?
Gesù risponde con la famosa parabola del buon samaritano che ha compassione di quell’uomo lasciato a terra mezzo morto, a differenza del sacerdote e del levita che videro e passarono oltre.
Gesù ribalta la domanda iniziale: «non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi» (Fratelli Tutti 80). Gesù ci indica uno stile di vita, il suo stile di vita, perché è lui il buon samaritano che ci ha visti bisognosi del suo aiuto, ha avuto compassione e si è fatto prossimo: è venuto vicino a noi feriti e morti a causa del peccato, «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4) e ha dato non «due denari», ma se stesso per noi. E «Ancora oggi, come buon samaritano, si fa prossimo a ogni uomo, piagato nel corpo e nello spirito» (Prefazio comune VIII); lui sa cosa stiamo vivendo, fa sua ogni nostra sofferenza, condivide ogni dolore. Perché l’amore non è un vago sentimento, «ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona» (Papa Francesco).
Se questo è lo stile di Gesù, non può non essere lo stile di noi cristiani: «Va’ e anche tu fa’ così». Quindi non è degno di un cristiano il “passare oltre”. Davanti ad un uomo “piagato nel corpo e nello spirito”, per noi cristiani la “fermata è obbligatoria”. Infatti, non possiamo passare oltre la solitudine di tante persone anziane e ammalate; non possiamo passare oltre la disperazione di chi scappa dal proprio paese, di chi a 40/50 anni ha perso il lavoro e per il mercato non serve più; non possiamo passare oltre davanti al disastro ambientale che miete vittime in vari modi (con malattie, con il crollo di un pezzo di ghiacciaio sulla Marmolada, con la siccità…).
È necessario fermarsi, sentire tutta la compassione e fare la propria parte con i mezzi a propria disposizione. A volte basta poco, basta stare vicino, ascoltare, chiedere aiuto ad altri quando non possiamo farlo noi. Possiamo avere la fede da spostare le montagne, partecipare a tutte le Messe e le catechesi, ma se “passiamo oltre” la nostra fede «in se stessa è morta» (Gc 2,17) e non serve a nulla (cf 1Cor 13,1-3).
Maria ci aiuti ad avere compassione, a rendere la nostra fede operosa nella carità.
d. Alfonso Lettieri