«Siamo la prima generazione che non desidera il futuro». E se un tempo «i nostri padri facevano sacrifici consapevoli di un avvenire migliore» oggi «i genitori sono preoccupati e i giovani hanno paura». La Prima domenica d’Avvento ha offerto al presule la possibilità di riscaldare i cuori e ridestare il dono «grande» e «fragile» della speranza. Mons. Di Donna ha richiamato il rischio di vivere «appiattiti sul presente» e un «diffuso sentimento di sfiducia» di fronte al quale serve una «speranza credibile» e non «retorica» che i cristiani devono «sapere offrire» senza superficialità. Anche per questo, coloro che svolgono un servizio nella Chiesa hanno il dovere di «essere preparati».
Innanzitutto, bisogna uscire dall’equivoco che confonde la buona notizia del Vangelo con guerre e catastrofi: «accadranno sempre», ha ricordato il vescovo, e «non sono legate alla venuta di Dio. Ogni uomo, del resto, sperimenta nella sua vita una specie di fine del mondo. Dove trovare allora questo Vangelo di speranza quando l’inquinamento dell’ambiente rovina tutto, la morte di un caro ci colpisce, la malattia ci visita improvvisamente, perdiamo o non troviamo il lavoro? Il cristianesimo – ha ammonito il vescovo – non è soltanto custodia del passato, fosse anche quello glorioso della venuta di Gesù Cristo, ma è soprattutto orientamento verso il futuro, per lasciarsi sorprendere da Dio che viene in ogni uomo e tempo, e si dona a noi nel quotidiano oltre ogni desiderio».
La sfida cristiana
Da cristiani, ha esortato Di Donna, dobbiamo essere certi di «non andare verso l’assurdo, perché Egli viene e verrà per dare conforto ai genitori della giovane Enza Maisto, altra vittima pochi giorni fa di una malattia ‘troppo’ e ‘sospettosamente’ diffusa; viene e verrà per infondere coraggio ai disoccupati che non trovano lavoro; viene e verrà a sostenere gli agricoltori di Acerra che non vendono più i loro prodotti e si sentono senza prospettive di futuro». La nostra speranza è fondata su Colui che è già venuto e deve venire ancora perché «da soli non possiamo farcela», andremo incontro a sicuro fallimento come «le industrie» che hanno compromesso la vocazione agricola dei nostri territori e i mercanti di morte che hanno devastato l’ambiente. La strada da intraprendere è quella di seguire «Gesù che ci invita a reagire», «la Chiesa madre ed educatrice che ogni anno suscita l’Avvento, un tempo per risvegliare la speranza aprendoci alla grandiosa visione cristiana della storia».
Guai quindi, ha ammonito mons. Di Donna a coloro che vivono di una «quotidianità soddisfatta: essi sono distratti e non si curano del pericolo di soccombere sotto la loro stessa superficialità; riflettano bene i cinici e i falsi, che costruiscono su morte e distruzione le loro fugaci ricchezze, mangiano e bevono fondando la vita su un inconsistente presente».
Ma i cristiani devono stare attenti anche al «sonno della fede», rischio e minaccia grave quanto il «sonno della ragione». Noi «non aspettiamo Godot» e neanche viviamo l’attesa come quando si aspetta nella sala di un medico o un professionista: siamo bensì «proiettati verso il futuro di Dio, dimensione vincolante della fede cristiana». Il vescovo ha messo in guardia dai «beffardi» di oggi che «irridono» la nostra speranza come un tempo irridevano i primi cristiani e martiri della fede: «Il potere di Cesare finirà, Roma non vincerà» ha esclamato.
Prendere il largo
«Svegliati Chiesa di Acerra e riconosci i segni di speranza presenti in mezzo a te!». Mons. Di Donna ha concluso la sua omelia esortando i fedeli a «discernere» i segni dei tempi: «la vita generosa» di sacerdoti e comunità, i «nostri fratelli e sorelle che ricevono stasera il mandato» e consapevoli che «nella Chiesa non ci sono i navigatori solitari né posizioni di potere da conquistare» ma si tratta di un servizio, qualunque esso sia, da «svolgere in maniera sempre più qualificata». Sono segni di speranza l’Ospizio per anziani, la Mensa della fraternità, la Locanda del Gigante che opera in favore dei giovani tossicodipendenti, l’attenzione ai minori in difficoltà messa in campo da tempo dalla Caritas». Ma è un segno di speranza anche «il risveglio delle coscienze» sulla grave emergenza ambientale. «Vigilate contro l’avvelenamento delle nostre terre, fatelo nel nome dei vostri morti», ha raccomandato il vescovo ai tanti fedeli che affollavano la cattedrale. Perché se è vero che la scienza ha bisogno di dati certi, è altrettanto innegabile «la consapevolezza di chi piange ogni giorno i propri morti che qualcosa qui non va». Ai tanti Comitati per l’ambiente sorti spontaneamente in questi mesi il vescovo ha rivolto l’invito a «non disperdere questo patrimonio» e a «mettersi insieme per organizzare la speranza».
Prima tappa: l’Assemblea diocesana il 13/1/2014
Infine, sono segni di speranza «i miei primi giorni ad Acerra in ascolto della vostra storia». Fedele a questo stile pastorale Mons. Di Donna ha dato appuntamento al 13 gennaio, giorno della grande Assemblea diocesana in cui ascolterà «insieme» le diverse anime della Chiesa a lui da poco affidata e presenterà «i primi passi».
Prima però ha indicato la strada lungo la quale giungere a quella data: «Oggi credere non è più difficile di ieri, con i rischi e le opportunità di ogni frangente della storia. Il nostro è tempo favorevole e bello per credere e sperare, cercando con impegno e coraggio tra noi i segni di speranza; un tempo difficile ma affascinante, l’unico che ci è dato e di cui un giorno daremo conto».