In «un giorno solenne per la comunità cristiana e civile insieme», il vescovo di Acerra non nasconde la «gioia di vedervi così numerosi, in particolare per la presenza di 50 ragazzi che in questi giorni hanno partecipato ad un torneo di calcio a cinque organizzato dall’Ufficio sport della diocesi e la parrocchia san Pietro di Acerra per festeggiare i santi patroni, e che al termine della funzione religiosa riceveranno un premio nel chiostro del seminario». Essi sono il segno di tutti quelli che si impegnano per il bene della città, verso i quali monsignor Antonio Di Donna esprime un profondo «senso di gratitudine». A partire da quei tanti acerrani anonimi che «compiono al meglio il proprio dovere» e lavorano tutti i giorni nel silenzio con non pochi sacrifici al bene comune: ad essi il vescovo esprime «con tutto il cuore riconoscenza». Ma anche a «quelli che educano i ragazzi nella scuola» e a «quelli che difendono l’ambiente», fino ai «giornali locali», che anche quando esprimono critiche certamente lo fanno per «amore della città».
La partecipazione della gente è delle grandi occasioni: fedeli gremiscono la Cattedrale in ogni ordine di posto per la messa pontificale presieduta da monsignor Antonio Di Donna con il clero cittadino, alla presenza del sindaco, delle autorità militari e di diverse delegazioni dalle scuole.
E’ la festa dei santi patroni Cuono figlio, che la Chiesa di Acerra ricorda nella liturgia del 29 maggio, giorno in cui nel 275 i due diaconi furono giustiziati dall’imperatore Valeriano durante le persecuzioni dei cristiani. Laici, non preti, non vescovi, ma un padre e un figlio – «santi immigrati» li ha definiti monsignor Di Donna rileggendo una preghiera del suo predecessore monsignor Giovanni Rinaldi – il cui culto resiste in città dal settimo, ottavo secolo, probabilmente introdotto in un contesto di migrazioni da cittadini greci bizantini che chiedevano al santo di proteggere un territorio paludoso dalle esondazioni del fiume Clanio e dalla malaria. A Iconio – oggi Konya in Turchia, un tempo sede delle prime comunità cristiane e anche di un Concilio, oggi quasi completamente islamica con la parte cristiana ridotta al lumicino – san Conone (dagli acerrani cambiato in Cuono) era stato un moderno «ingegnere idraulico», venerato per il «miracolo del fiume», dopo aver salvato la città da uno straripamento.
La festa dei santi patroni deve contribuire – dice Di Donna – a ridare un’anima alla città, agli uomini e alle donne che si interrogano sul futuro di un territorio in cerca di bellezza per salvarsi, riscoprendo magari la sua antica vocazione musicale e popolando il nuovo liceo musicale di studenti – acerrani, e non solo da fuori città – con al centro l’«agricoltura» e lo «sviluppo archeologico», perché «le pietre sono le nostre radici». Il presule chiede «dialogo tra istituzioni e cittadini» per «una città che progetta il suo futuro».
Per questo Di Donna anticipa che la Chiesa, attraverso i fedeli laici, darà un «contributo umile e povero» in concomitanza con la visita pastorale che il vescovo sta facendo alle parrocchie della diocesi e che lo scorso 11 maggio ha interessato san Carlo Borromeo, nelle contrade di periferia Pezzalunga e Gaudello ad Acerra – da dove «è venuta tanta ricchezza», chiarisce il presule, come dalle due precedenti nelle parrocchie di Licignano – e che il 5 giugno farà tappa ad un’altra parrocchia di periferia, Gesù Redentore.
E siccome «anche i laici cattolici sono chiamati a progettare il futuro della propria città», autorizzati e sostenuti dal vescovo essi promuovono incontri pubblici, il primo il prossimo 18 giugno.
Ecco la vera festa dei santi patroni, ammonisce Di Donna: una città che pensa al proprio presente e futuro per recuperare identità, mettere insieme le persone e resistere ai malcelati disegni di fare di questa città un «agglomerato di persone senza anima».
Forse anche per questo, all’inizio della Messa «nel clima della festa» il presule prega: «ci riconosciamo peccatori indegni di accostarci alla mensa della parola e del pane», aggiungendo poco dopo che chi segue Gesù è destinato, anche se in forme diverse, al «martirio», e solo «il chicco di grano che cade in terra» è capace di produrre frutti più consistenti e duraturi di volatili «followers» da tastiera. Non senza incoraggiare «le giovani famiglie a dare il nome Cuono ai propri figli», impegnandosi a battezzarli personalmente come già fatto con quelli nati di recente.
Antonio Pintauro