«Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» – dice Mosè al popolo e oggi a noi. Il nostro Dio non è lontano, si è incarnato, è entrato nella nostra vita (cf Gv 1,14), condivide tutto ciò che viviamo noi.
Mosè raccomanda al popolo di osservare le leggi che il Signore ha dato, questa sarà la loro saggezza e intelligenza. Negli anni queste leggi invece di garantire la libertà, hanno imprigionato il popolo, riducendo la relazione con Dio in una fredda e sterile osservanza di precetti: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» – dice Gesù ai farisei citando il profeta. «La reazione di Gesù è severa – dice Papa Francesco – perché grande è la posta in gioco: si tratta della verità del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’autenticità della vita religiosa». Il Signore, infatti, vede il cuore e non l’apparenza (cf 1Sam 16,7). Questa è una bella notizia, ci aiuta a non perderci in pratiche sterili che spesso ci tolgono anche la serenità, ci aiuta ad essere sinceri e veri, a non essere divisi, a coinvolgere tutto noi stessi in ogni cosa, a metterci il cuore, a partire dal rapporto con Dio: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5). Tutto era stato ridotto a pratiche slegate dalla vita, cose secondarie erano diventate fondamentali e dividevano gli uomini tra puri e impuri, i primi privilegiati, i secondi esclusi, condannati. Le leggi erano diventate pesi, perciò Gesù diverse volte richiama farisei, scribi e dottori della legge che caricano gli altri di fardelli insopportabili e loro non li toccano nemmeno con un dito (cf Lc 11,46). Per loro gli impuri non possono avvicinarsi a Dio, sono esclusi, invece Dio è venuto proprio per i peccatori (cf Mt 9,13), dal suo cuore nessuno è escluso e non ha paura di accostarsi a quelli che la società ha scartato. Gesù si è avvicinato agli ammalati, ha toccato i lebbrosi, ha perdonato prostitute, ha guarito gli storpi, ha toccato i morti per risuscitarli.
E noi quale idea di Dio abbiamo? Dividiamo anche noi i puri dagli impuri? La nostra fede è fatta solo di pratiche che ci fanno sentire a posto o viviamo concretamente l’amore che abbiamo ricevuto?
«Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» – dice san Giacomo. Dio vuole una relazione vera con noi, non fatta di sterili pratiche, ma di amore. Vuole che lo amiamo concretamente nell’ammalato, nell’ affamato, nel forestiero… Vuole che quando preghiamo ci rivolgiamo veramente a lui. Infatti, dire le preghiere è diverso dal pregare, venire a Messa è diverso dal partecipare alla Messa. Ci può essere una preghiera atea, cioè che non si rivolge a Dio, ma conta semplicemente le “preghiere” da fare. Ricordiamo il pubblicano che si batte il petto e chiede perdono. Questi, a differenza del fariseo che si esalta, viene ascoltato (cf Lc 18,9-14). La preghiera spesso è pesante e noiosa perché è un monologo, parliamo con noi stessi e non ci ascoltiamo nemmeno. Le pratiche religiose se non coinvolgono il cuore e lo convertono, non servono, ci svuotano, ci rendono ipocriti, spietati verso gli altri e ci danno l’illusione di essere dei buoni cristiani: “faccio le preghiere ogni giorno, vado a Messa la domenica, se ho tempo dico pure il rosario…”. E poi?
Il Signore ci dona la sua parola che illumina e purifica, ci fa guardare il nostro cuore e ci aiuta a togliere ciò che lo appesantisce, perché dal nostro cuore possano uscire solo propositi di bene e avere come unica legge il comandamento dell’amore: amarci gli uni gli altri come Gesù ha amato noi (cf Gv 15,12).
Un cuore così sarà in pace e pieno di gioia da donare a chiunque incontra sul proprio cammino.
Maria ci aiuti a vivere la nostra fede con tutto il cuore.
don Alfonso Lettieri