«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Questo versetto ci aiuta a comprendere cosa riesce a fare la Parola che abbiamo ascoltato: costruisce la comunità, rafforza la comunione tra noi fino a rendere presente Gesù; ci permette di andare incontro al fratello anche quando commette una colpa contro di noi.
E per la comunione, per il bene di tutti, ognuno, come il profeta, è posto come sentinella pronto ad aiutare il fratello che ha sbagliato e non a condannarlo. Si condanna il peccato commesso, non il peccatore, infatti Gesù è venuto «per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io» – dice san Paolo (1Tm 1,15). Ciò che ci deve incoraggiare è l’amore vicendevole, perché siamo un corpo solo e se un membro soffre, tutto il corpo ne risente (cf 1Cor 12,26). Stiamo tutti «sulla stessa barca, – ha detto il Papa il 27 marzo – tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda… nessuno si salva da solo».
Da soli spesso non riusciamo a renderci conto degli errori fatti, abbiamo bisogno di un confronto, di qualcuno che ci aiuti a prendere consapevolezza. Il fratello che può commettere una colpa non è solamente l’altro, ma sono anche io. E Gesù sa che se mi sento amato posso accogliere più facilmente la correzione, perciò invita prima di tutto ad un rapporto personale: «ammoniscilo fra te e lui solo». Di solito noi correggiamo solo quelli che amiamo e siamo corretti solo da chi ci ama (cf Eb 12,6).
Per il bene del fratello, bisogna tentare ogni cosa, mettere in atto tutto l’amore possibile accompagnato da una delicatezza che dice la verità senza ferire. Verità e carità non si possono separare: «La carità non fa alcun male al prossimo», invece la verità detta in modo crudo può fare molto male.
Se da solo non riesco ad aiutare il mio fratello, chiedo aiuto ad altre persone che lo amano e solo dopo coinvolgo la comunità che non è la comunità del web come succede oggi, cioè il mondo intero, ma sono i fratelli e le sorelle amati e perdonati dal Signore, che si rivolgono al Padre dicendo: «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12), una comunità consapevole della propria debolezza che porta a cedere, ma fiduciosa nell’infinita misericordia di Dio; una comunità di persone che credono nella forza della comunione e con la stessa voce (symphōnéō) si rivolgono al Padre certi di poter ottenere qualunque cosa (cf 18,19).
Chi commette una colpa e vede la misericordia negli sguardi, nelle parole e nei gesti di chi lo corregge, più facilmente si ravvede. E solo se dopo tutti questi tentativi il fratello non si ravvede, si deve prendere dolorosamente atto che lui stesso si è staccato dalla comunità ed essere sempre pronti a far festa se il fratello perduto viene ritrovato, se fa ritorno a casa (cf Lc 15,11ss).
In una società dove le notizie fanno il giro del mondo in pochi secondi, dove tutto viene detto a tutti, a partire dagli errori e dai peccati, noi cristiani convertiti e sostenuti da questa Parola, siamo chiamati a mostrare la bellezza dell’amore fraterno, a mettere un limite al male, alle cattive notizie: «Hai udito una parola? Muoia con te! Sta’ sicuro, non ti farà scoppiare» (Sir 19,10). Perché siamo quelli della Buona notizia, quelli che diffondo il bene e il bello e non gli errori e i guai. Iniziamo subito, dalla semplice risposta alla domanda: “Come stai?”, non partiamo dai problemi e i dolori che abbiamo, ma dal bene che abbiamo vissuto e visto. È un cambio di prospettiva necessario, diffondiamo così il bene e bello e collaboriamo nel costruire un mondo migliore, come lo sogna e lo desidera Dio per noi.
don Alfonso Lettieri