Un pubblicano, peccatore, ingiusto, non osserva la legge e deruba i suoi concittadini; un fariseo, giusto, osserva la legge e ringrazia il Signore perché non è ladro, ingiusto e adultero. Chi dei due giustifichiamo? Ovviamente il fariseo. Invece Gesù dice che il pubblicano torna a casa giustificato.
“Signore, ma che ha fatto il pubblicano per meritare il perdono?”.
La parabola è detta per coloro che «avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri». Il fariseo ha questa intima presunzione: si presenta nel tempio col suo bagaglio di meriti, ha fatto tutto ciò che doveva fare e anche di più, ha “raccolto i punti” e adesso presenta a Dio la “scheda” che dà diritto al premio e Dio non deve fare altro che ratificare e dare ciò che gli spetta, ciò che lui si è guadagnato. Inoltre, si autogiustifica disprezzando gli altri, ricorda a Dio che non hanno alcun merito, non hanno fatto nulla di buono. Non di rado succede che per esaltarci disprezziamo gli altri, mentre il Signore ci invita ad amarci gli uni gli altri (cf Gv 15,12) e san Paolo a gareggiare nello stimarci a vicenda (cf Rm 12,10). Ecco perché non viene giustificato, non ne ha bisogno, infatti, lui prega tra sé non con Dio, si rivolge a se stesso, a differenza del pubblicano, non si riconosce bisognoso della misericordia; più che credere in Dio, crede in se stesso, basta a se stesso.
Il pubblicano, invece, riconosce la sua miseria, non ha nulla da presentare se non il suo peccato e si rivolge a Dio (quindi prega veramente), il suo cuore non è pieno di sé e quindi è capace di accogliere la misericordia. «La preghiera del povero attraversa le nubi». «Il povero grida e il Signore lo ascolta».
Gesù così ci invita volgere il nostro sguardo verso Dio, a considerare che siamo stati da Lui scelti prima della creazione del mondo (cf Ef 1,4), che il suo amore è gratuito, non siamo chiamati a “raccogliere punti” per averlo in premio. Certo, in questo amore bisogna rimanere (cf Gv 15,4), solo così possiamo portare frutti buoni, solo così la nostra miseria non ci schiaccia, perché riceviamo misericordia e ogni grazia per rialzarci dalle nostre cadute e possiamo guardare gli altri con occhio fraterno: possiamo gioire per il bene che fanno, possiamo essere misericordiosi come il Padre (cf Lc 6,36) se vediamo le loro miserie, evitiamo di guardarli come rivali, ma li consideriamo compagni di viaggio, ognuno con i suoi carismi, ognuno con i suoi limiti e peccati, insieme per testimoniare l’amore di Dio.
Oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale dal tema: «Di me sarete testimoni» (At 1,8). Nel suo Messaggio il Papa ricorda che avendo ricevuto lo Spirito Santo «ogni cristiano è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo» e che la Chiesa «non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo». Ogni cristiano è missionario, ognuno deve dare testimonianza a Cristo, ma non da solo: la missione «si fa insieme, non individualmente, in comunione con la comunità ecclesiale e non per propria iniziativa… Infatti, non a caso il Signore Gesù ha mandato i suoi discepoli in missione a due a due». La prima e fondamentale testimonianza è l’amore tra noi (cf Gv 13,35).
Maria, Regina delle missioni, ci renda coraggiosi testimoni di Gesù risorto.
don Alfonso Lettieri