Sentenza Corte europea diritti dell’uomo che condanna l’Italia per il disastro ambientale nelle nostre terre. Il vescovo di Acerra Antonio Di Donna: «Ci rallegriamo che venga riconosciuto il nesso tra inquinamento e patologie tumorali in una sede così autorevole, ma si tratta di una sentenza tardiva e incompleta»
«Ci congratuliamo di fronte alla sentenza della Corte europea dei diritti umani, che condanna l’Italia per i disastri ambientali avvenuti in questi anni nelle nostre terre, perché viene riconosciuto da una sede autorevole il rischio gravissimo corso». Lo afferma monsignor Antonio Di Donna in un video postato sui canali social della diocesi. Per il vescovo di Acerra «ci sono voluti però malati e morti in questi anni; ci sono volute lotte contro il negazionismo di chi negava il nesso tra inquinamento ambientale e l’insorgere di malattie tumorali».
Perciò, se da un lato «ci rallegriamo dunque perché la Corte riconosce l’inadempienza dell’Italia di fronte a questo grave rischio» allo stesso tempo diciamo anche però che «lo aveva già fatto in parte quattro anni fa l’Istituto superiore di sanità, che aveva riconosciuto questo nesso e aveva emesso un rapporto interessante nel gennaio 2021 sotto impulso del Tribunale di Napoli Nord» prosegue il presule.
Ma soprattutto Di Donna sottolinea alcune cose: «Anzitutto, il grave ritardo con cui esce questa sentenza: ci sono voluti i ricorsi di 41 persone e di cinque associazioni». Il vescovo continua affermando che «la sentenza, a mio parere, ha un grave limite: perché ancora una volta getta la croce sul territorio compreso tra Napoli e Caserta, come se fosse l’unica terra inquinata. Ma così non è, perché noi Chiesa ci stiamo sforzando ormai da tempo di dire che in Italia bisogna parlare non al singolare di “Terra dei fuochi” bensì al plurale di “Terre dei fuochi”. Ci sono ben 50 siti inquinati sul territorio dell’intera Penisola: basti pensare alla sostanza “Pfass” che ha inquinato i territori tra Vicenza e Padova in Veneto. Ci sono dunque più “Terre dei fuochi” in Italia» è il pensiero del presule.
E ancora, «se la Corte europea ha imposto all’Italia di riparare in qualche modo a quello che è avvenuto», per monsignor Di Donna «manca una parola: avrei auspicato che la sentenza della Corte avesse fatto esplicito riferimento e avesse imposto all’Italia di procedere alle necessarie bonifiche delle quali ancora allo stato attuale non si vede neanche l’inizio» dice ancora il presule. E aggiunge: «Per non parlare della qualità dell’aria e di altro».
«E infine, perché no: dal momento che siamo in sede giuridica, se viene imputato all’Italia di aver sottovalutato il rischio, dovrebbero essere imposte allo stesso tempo forme di risarcimento a chi ha subito i danni di quella devastazione. Intendo parlare di risarcimento anche economico alle famiglie che hanno avuto malati e morti in questi 30 anni».
Per il presule insomma «ci rallegriamo» per questo provvedimento, «non è mai troppo tardi». Ciò non toglie che si tratta di «una sentenza, ahimè, tardiva e incompleta».