Natale – Il Messaggio del vescovo Antonio

«Recuperiamo l’“Oltre” che offre significato al presente e sostanza al desiderio»

Il Natale, e in particolare l’Anno Santo, sono l’occasione per una sosta che permetta alla gente, alla città e alla terra, di riposare
Il Bambino nato a Betlemme viene a ristorarci nelle fatiche
Dal 24 dicembre tutta la Chiesa entrerà nel Giubileo indetto da papa Francesco per il duemilaventicinque

 

Parafrasando il messaggio che l’arcivescovo Mario Delpini ha rivolto alla sua città di Milano per la festa di sant’Ambrogio, anche noi avvertiamo la sensazione di essere arrivati a questo Natale del Signore dell’anno 2024 come una grande «folla che vaga nello smarrimento», e il clima ovunque è di una « stanchezza diffusa»: della «gente», della «città» e della «terra».

La spossatezza della nostra gente
Innanzitutto è stanca la gente. Ma non della vita, per la quale le persone ancora si stupiscono e meravigliano riconoscendola un dono inestimabile di Dio. La gente è stanca di una vita senza senso, di un futuro senza speranza, di uno scorrere dei giorni dove i rapporti sono precari e tutto è regolato dalla logica del consumo.

La gente non è stanca del lavoro: anzi, la gran parte di noi lo svolge con passione, serietà e competenza. Siamo invece frustrati quando il lavoro non permette di vivere con dignità, oppure ci esaspera con orari e spostamenti logoranti. Ci sfianca quel lavoro che manca ai giovani. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro e di un lavoro che soffoca nella burocrazia senza coinvolgere chi lo svolge nella responsabilità per il bene comune.

Neppure della «famiglia» la gente e i giovani sono stanchi: anzi, essa è ancora «il primo valore e il bene più necessario alla società». E’ stanca piuttosto della « frenesia» che aggredisce le famiglie spostando il loro centro dalla casa all’esterno tra «impegni» e «prestazioni».

La gente non è nemmeno stanca della «politica» e delle Istituzioni: anzi, le ritiene necessarie per la vita comune. E’ stanca invece di una politica «miope» e del «pettegolezzo» che squalifica.

Neanche della buona comunicazione» la gente è stanca. Lo è piuttosto di quella che diventa «spazzatura» e «ingigantisce il male e ignora il bene». E’ stanca del «narcisismo», della «volgarità» e dell’«odio» sui Social.

Lo sfinimento della città
Case e uffici sono «la vita e la sostanza» delle nostre città. Esse però si sentono stanche quando le case sono «abbandonate al degrado» e il « consumo avido del suolo» le impoverisce.  Sono  stanche per i «turisti che le affollano senza rispetto» ignorando la «storia» e la «fede» dietro i loro «tesori». La città è stanca non dell’acqua che «feconda la terra» ma di quella che esonda e sradica alberi a causa di quella «superficialità» che trascura la prevenzione di «alluvioni».

La stanchezza della terra
Anche la terra è stanca. Ma non lo è dell’uomo, quando egli insieme alla donna è capace di abitarla e viverla nell’amore, di coltivarla e di custodirla. E’ stanca invece quando l’uomo « sconfina dal suo ruolo» per sostituirsi a Dio e diventarne «padrone e dominatore assoluto», rovinandone le «connessioni vitali», sfruttandone «con avidità insaziabile le risorse», senza curarsi del «futuro» e riducendola ad una «discarica».

Pure la nostra «Terra dei fuochi» è stanca. Non di offrire i suoi doni per il nostro sostentamento e la nostra gioia. E’ stanca invece per non essere ancora uscita dall’emergenza ambientale e criminale.

E’ frustrata perché non riesce a venire a capo di una situazione che ha portato una delle aree della Campania più cariche di storia, di paesaggi e cultura, di creatività e ingegno, a diventare terra di veleni.

La pianura più importante, numerosa e fertile della regione, è stanca perché non sembra avere altra prospettiva di una eterna emergenza in ogni campo. Nonostante le idee, i progetti, i movimenti, i tavoli della Prefettura, l’impegno della Regione e delle amministrazioni, che pure sono stati messi in campo in questi anni.

Il tempo propizio del Giubileo
Nell’anno 2025 che è alle porte abbiamo una grande occasione per lasciare «riposare» la gente, la città e la terra: il Giubileo indetto da papa Francesco che comincerà la notte del 24 dicembre, quando il Pontefice aprirà la Porta Santa a Roma.

Questo tempo di Grazia ci permetterà una «sosta» per rimettere al primo posto Dio e la sua Parola, le domande che veramente contano per la nostra vita, e ascoltare il grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra.

«Il lavoro è la prima sfida che dobbiamo vincere» ha detto con riferimento agli operai di Stellantis il presidente della Regione Vincenzo De Luca nel saluto al neo cardinale Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli. «Ma ce n’è anche una seconda, quella che riguarda le nuove generazioni» ha aggiunto il Governatore esortando: «Parliamo con i ragazzi, anche se in alcuni casi si fa fatica, facciamolo nelle chiese e negli oratori, andiamo incontro alle esigenze e ai loro problemi» (Il Mattino, 11 dicembre 2024).

Perciò , anche se spesso lo scoraggiamento mina l’impegno di tanti genitori, educatori, insegnanti e assistenti sociali, non possiamo rinunciare al compito di mostrare ai nostri figli che vale la pena diventare adulti, a patto che noi stessi evitiamo di mostrarci loro, come spesso accade, scontenti, arrabbiati, incapaci di dire una parola che benedica la vita.

La nostra attenzione alle persone passerà in questo Giubileo anche per la cura con cui sapremo alleviare le sofferenze dei nostri malati e fragili, dalla professionalità e dallo spirito di dedizione con cui ci impegneremo, e da un sistema socio-sanitario capace di guardare lontano e adeguato ad assistere tutti, specie se poveri.

Se davvero siamo stanchi della guerra, allora dobbiamo nell’anno giubilare farci «pellegrini di speranza» ed educare alla pace nelle scuole, negli oratori, nei luoghi culturali, in quelli dello sport e in ogni ambito della vita sociale, fino ad estirpare anche la più piccola manifestazione di violenza che si consuma tra le pareti domestiche. Ai nostri giorni sembra che la vita serena e sicura sia diventata impossibile.

Siamo tutti più vulnerabili e fragili. L’aria sporca, la terra che diventa un deserto e i nostri malati a causa dell’inquinamento ambientale sono da molti considerati il prezzo da pagare al benessere di cui godiamo. Eppure, in questa vulnerabilità ci è data l’occasione con il Giubileo di cambiare rotta se la spiritualità torna a fare capolino nel nostro stile di vita per una conversione ecologica integrale capace di ristabilire il rapporto con Dio, con il creato e con i fratelli.

Per il bene delle nostre città è infine indispensabile una rinnovata capacità di corresponsabilità da parte di tutti, perché chi amministra non sia solo oggetto di attese e di pretese. E’ necessario il dono del discernimento per chi deve prendere decisioni, ma è il momento dell’impegno fattivo anche da parte di chi deve aiutare i governanti nel fare scelte per il bene comune.

Un tempo di benedizione per tutti
Ci restituisca allora l’anno giubilare uno sguardo capace di recuperare quell’«oltre» che dà senso al presente, sostanza al desiderio e significato al futuro. Ci ridoni lo «sguardo contemplativo» per dare anima e unità alla realtà umana, sociale, politica ed economica nei suoi aspetti vitali. E siano il Natale del Signore e il Giubileo un tempo di benedizione per chi con serietà, onestà e intelligenza ogni mattina si alza per servire il bene comune, per operare secondo diritto e giustizia, per difendere il debole dal prepotente, per dare sollievo a chi è stanco di vivere, e seminare il futuro. Siano il Natale e il Giubileo una benedizione per chi si impegna a ricomporre la società disgregata e individualista, per chi cerca di impedire lo spreco di risorse e così dare riposo alla terra. Quella che dobbiamo benedire perché ci ospita e ci nutre, che dobbiamo guarire e custodire come un giardino per chi verrà dopo di noi. Che sia in questo tempo benedetta la città dove abita la speranza, e tutti, ricchi e meno ricchi, fanno fruttificare i loro talenti per rispondere alla vocazione ad essere fratelli. Che siano benedetti tutti quelli che educano e seminano ragioni di speranza nel cuore dei nostri giovani alimentando i l desiderio di diventare adulti con coscienze rette, disponibili al servizio e alla responsabilità. Benedetti coloro che offrono sollievo a chi soffre nel corpo e nello spirito perché nessuno sia o si senta abbandonato. Che siano benedetti tutti quelli che si prendono cura della stanchezza della gente, della città e della terra.

Antonio Di Donna
Vescovo di Acerra