Cari fratelli presbiteri,
desidero anche quest’anno rivolgervi una parola di riflessione e di incoraggiamento, in continuità con la Lettera che vi ho scritto due anni fa (Preti non si nasce, si diventa), che, tra l’altro, sarebbe opportuno rileggere insieme a questa.
In questa prima parte della lettera prendo a prestito le parole che Papa Francesco ha scritto l’anno scorso[1] ai suoi sacerdoti della Diocesi di Roma:
Cari fratelli sacerdoti,
desidero raggiungervi con un pensiero di accompagnamento e di amicizia, che spero possa sostenervi mentre portate avanti il vostro ministero, con il suo carico di gioie e di fatiche, di speranze e di delusioni. Abbiamo bisogno di scambiarci sguardi pieni di cura e compassione, imparando da Gesù che così guardava gli apostoli, senza esigere da loro una tabella di marcia dettata dal criterio dell’efficienza, ma offrendo attenzioni e ristoro. Così, quando gli apostoli tornarono dalla missione, entusiasti ma stanchi, il Maestro disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6,31).
Penso a voi, in questo momento in cui ci può essere, insieme alle attività estive, anche un po’ di riposo dopo le fatiche pastorali dei mesi scorsi. E vorrei anzitutto rinnovarvi il mio grazie: «Grazie per la vostra testimonianza, grazie per il vostro servizio; grazie per tanto bene nascosto che fate, grazie per il perdono e la consolazione che regalate in nome di Dio […]; grazie per il vostro ministero, che spesso si svolge tra tante fatiche, incomprensioni e pochi riconoscimenti».
D’altronde, il nostro ministero sacerdotale non si misura sui successi pastorali (il Signore stesso ne ha avuti, col passare del tempo, sempre di meno!). Al cuore della nostra vita non c’è nemmeno la frenesia delle attività, ma il rimanere nel Signore per portare frutto (cfr. Gv 15). È Lui il nostro ristoro (cfr. Mt 11,28-29). E la tenerezza che ci consola scaturisce dalla sua misericordia, dall’accogliere il “magis” della sua grazia, che ci permette di andare avanti nel lavoro apostolico, di sopportare gli insuccessi e i fallimenti, di gioire con semplicità di cuore, di essere miti e pazienti, di ripartire e ricominciare sempre, di tendere la mano agli altri. Infatti, i nostri necessari “momenti di ricarica” non avvengono solo quando ci riposiamo fisicamente o spiritualmente, ma anche quando ci apriamo all’incontro fraterno tra di noi: la fraternità conforta, offre spazi di libertà interiore e non ci fa sentire soli davanti alle sfide del ministero.
È con questo spirito che vi scrivo. Mi sento in cammino con voi e vorrei farvi sentire che vi sono vicino nelle gioie e nelle sofferenze, nei progetti e nelle fatiche, nelle amarezze e nelle consolazioni pastorali.
In questa seconda parte della Lettera vorrei rivolgervi alcune raccomandazioni concrete. Nessuno si senta “ferito” dalle mie parole, ma, con spirito di umiltà, ognuno esamini se stesso e abbia il coraggio di mettersi in discussione.
- Vorrei, anzitutto raccomandarvi di porre alla base di tutto la fraternità, fra voi e con il vescovo: non possiamo essere autentici padri se non siamo anzitutto figli e fratelli; e non siamo in grado di suscitare comunione nelle comunità a noi affidate se prima di tutto non la viviamo tra noi.
Lo stile della fraternità presbiterale non può prescindere da due atteggiamenti essenziali: la stima e la franchezza.
C’è bisogno di stima reciproca; è uno dei desideri che torna con maggiore insistenza nei nostri incontri: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda», dice l’Apostolo.
Un secondo atteggiamento imprescindibile è quello della franchezza. È il coraggio di parlarsi liberamente e sinceramente, non con quello stile un po’ arrogante che usano gli adolescenti quando dicono: «Certo che glielo dico in faccia!». Ricordiamo che, quando si tratta di imparare l’arte delle relazioni personali, siamo perennemente discepoli.
Nessuno è perfetto. Ognuno di noi ha pregi e difetti. Nessuno pretenda che gli altri siano perfetti; ognuno consideri gli altri superiori a se stesso. Non giudichiamoci gli uni gli altri: se, ad esempio, qualcuno è più intraprendente e si dà da fare, non lo critichiamo, non lo isoliamo ma imitiamolo in quella parte di bene che porta avanti. Guardiamoci con occhi di misericordia e … con una punta di ironia. Occorre lasciarsi purificare dal “fantasma della comunità perfetta”: abbiamo introiettata in noi l’aspettativa irrealistica di una fraternità priva di tensioni, prettamente ispirata, mai tribolata dalle divisioni o dagli scandali.
- I tempi soni cambiati: è un ritornello che ci ripetiamo da anni. Niente più corrisponde al modello “di una volta”: non esistono più i giovani di una volta, i genitori di una volta, i vescovi di una volta… E il popolo di Dio ha spesso acquisito dai suoi pastori il medesimo sguardo e aggiunge che liturgie e preti… non sono più quelli di una volta! A voler considerare seriamente questa tesi, verrebbe da chiedersi come mai si continui comunque ad impostare l’azione pastorale come una volta e ci si ostini a non volerla modificare.
- I tempi sono cambiati, viviamo “in un mondo che cambia”. Da ciò dovrebbero scaturire atteggiamenti che caldamente vi raccomando:
- anzitutto, l’ACCOGLIENZA verso TUTTI: accogliere, accogliere, accogliere! Vi supplico: non allontaniamo le persone con i nostri atteggiamenti.
Accogliamo tutti con affetto, con l’ascolto, con un sorriso…
Vorrei esemplificare questo pressante invito all’accoglienza con tre appuntamenti fissi del nostro ministero:
- in primo luogo la richiesta dei sacramenti: in particolare, il discernimento delle persone che vivono in situazioni cd “irregolari”, per le quali vale quanto previsto dal cap. VIII dell’Amoris laetitia di Papa Francesco;
- la disponibilità a celebrare il sacramento dell’unzione degli infermi. I presbiteri hanno l’obbligo di visitare gli ammalati e di amministrare l’unzione quando viene richiesta; essi, pertanto, devono essere sempre reperibili, non deleghino solo i ministri straordinari della comunione e non si sottraggano al dovere di celebrare il sacramento dell’unzione;
- i momenti di dolore e di lutto delle persone, in particolare la vicinanza alla famiglia del defunto per la celebrazione delle esequie. Per la celebrazione delle esequie i parroci non si limitino a concordare solo con l’agenzia funebre orario e modalità dell’esequie, ma prendano contatti con la famiglia del defunto, anzitutto per esprimere vicinanza nel momento del dolore e poi per concordare le modalità delle esequie. Esorto vivamente a recarsi a casa del defunto per un momento di preghiera e a celebrare l’Eucarestia o, se non è possibile, una degna liturgia della Parola, secondo le Norme liturgiche. Nel caso di difficoltà di orario non rinviino ad altra parrocchia ma concordino con i familiari le modalità della celebrazione e, comunque, siano loro stessi a celebrarla anche se non nella propria chiesa parrocchiale;
- raccomando, poi, l’atteggiamento di RICERCA di quelli che si sono allontanati.
La Parrocchia deve fuggire la tentazione di chiudersi in se stessa, paga delle esperienze gratificanti di comunione che può realizzare tra quanti ne condividono l’esplicita appartenenza. Come Gesù, dobbiamo cercare i “lontani”. Chi sono? Sono lontani o sono stati allontanati? Perché si sono allontanati? Quanti sono? Sono scappati di casa e noi non siamo andati a trovarli per ricondurli a casa. Oppure si sono allontanati per varie ragioni: per dimenticanza, per trascuratezza, per ostilità, per la durezza della vita, per esperienze negative con la Chiesa e i suoi rappresentanti, per influsso di altre culture o religioni…
- Ancora vi raccomando:
- la dedizione alla parrocchia, la cura assidua del popolo di Dio: il nostro don Riboldi, mi dicono, era solito raccomandare di fare almeno le “otto ore di lavoro” previste per gli operai;
- andare a visitare gli ammalati, in particolare le famiglie con ragazzi o giovani ammalati.
La nostra terra, purtroppo, è segnata, come sappiamo, dall’inquinamento ambientale che produce malattie e morti, spesso di ragazzi e giovani.
Invito caldamente i presbiteri e le loro comunità a farsi presenti presso le famiglie con figli ammalati: accompagnarle spiritualmente e aiutarle nei bisogni concreti. Inoltre chiedo ai parroci di segnalarmi situazioni particolari perché anch’io possa visitare i malati;
- mettere in programma la visita sistematica alle famiglie;
- osservare le Norme liturgiche, il decoro delle Chiese, la cura dei registri parrocchiali.
Rinvio alle integrazioni alle “Norme liturgiche” pubblicate l’anno scorso[2]: la domenica; i matrimoni; le esequie; feste e processioni; luoghi liturgici, libri, paramenti sacri; “Ars celebrandi”; il canto; messe di Natale; no alle tariffe per i sacramenti; associazioni di fedeli devoti alla Madonna dell’Arco;
- infine vi raccomando di curare lo studio, la lettura, l’aggiornamento, l’abbonamento a qualche rivista; di programmare in parrocchia iniziative culturali (presentazioni di libri, dibattiti su temi di attualità…).
- A conclusione di questa seconda parte della Lettera vorrei evidenziare tre aspetti della vita presbiterale che mi stanno particolarmente a cuore:
- La nostra umanità, l’umanità di noi preti; raccomando, in particolare, di vigilare sulla nostra affettività!
- La nostra Fede, sì, non la fede della nostra gente ma la fede di noi preti.
Nell’estate del prossimo anno, durante il Giubileo, ricorreranno esattamente millesettecento anni dal Concilio di Nicea (325-2025). È mia intenzione ritornare sul testo di Nicea, il Simbolo che professiamo ogni domenica. Dalla riflessione sul Simbolo di Nicea vorrei evidenziare le domande personali che la fede di Nicea pone alla nostra vita: “Crediamo noi fino in fondo, alle parole che recitiamo nel Credo? Come possiamo consolidare e vivificare questa fede in noi e negli altri?”.
«Il solo cristianesimo che sopravviverà sarà quello fondato su convinzioni interiori profonde perché non basteranno più le tradizioni esterne o i fenomeni di massa» (Card. Carlo Maria Martini).
- Vi chiedo di osare coraggiosamente di fare una proposta vocazionale ai ragazzi e ai giovani.
Vi affido alla Vergine Maria, madre dei sacerdoti
Con la mia paterna benedizione
Acerra, lunedì 7 ottobre,
Memoria della Beata Vergine Maria del Rosario
Il vostro vescovo Antonio
[1] 5 agosto 2023.
[2] Prot. 177/23/V del 3 dicembre 2023.