Una raccolta di dieci omelie, per ricordare il decimo anno dall’arrivo di monsignor Di Donna ad Acerra, il 10 novembre 2013. Un modo semplice e intenso per ripercorrere alcune delle tappe del ministero episcopale del vescovo. Ecco la prefazione.
«Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto». Le parole di Benedetto XVI all’Udienza generale del 27 febbraio 2013, e il primo saluto dopo l’elezione il 19 aprile 2005, quando si era presentato come «un semplice e umile lavoratore nella vigna» dove il Signore «sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti», ci aiutano ad entrare in punta di piedi nel decimo anniversario di episcopato del vescovo Antonio, che con questa raccolta ripercorriamo attraverso dieci sue omelie.
Il compianto cardinale e teologo Georges Cottier tempo fa spiegava ai giornalisti che per vedere Dio sempre all’opera nella Chiesa, ma anche nella vita di ogni uomo, non bisogna fermarsi in superficie dove si agitano le onde, bensì bisogna scendere e guardare la linea di fondo del mare, che non è mai ferma e va avanti nella stessa direzione. Certo, per farlo occorre soprattutto una vita di preghiera ma anche una virtù che lo stesso monsignor Di Donna tante volte ha invocato, non ultimo nella Giornata del ringraziamento del 12 novembre 2023: quella «forza della pazienza che ci fa continuare a sperare, resistere e perseverare nei tempi di difficili». Non un attendere passivo e rassegnato, ma «saper accogliere la vita che non è sempre secondo i nostri desideri».
10Omelie E’ la pazienza della «madre che per nove mesi vede crescere la creatura nel suo grembo» prima di portarla alla luce; dei «genitori che rispettano i figli e aspettano il momento in cui matureranno»; dell’insegnante, quando «con fatica attende che i ragazzi crescano e capiscano, ed è disposta a spiegare sempre, finché le loro menti si aprano». E’ la pazienza del «vecchio che non vive nel rimpianto del tempo passato»; è quella del «contadino che lavora nella vigna e aspetta i frutti della terra».
Monsignor Di Donna è arrivato in diocesi il 10novembre 2013 e ha affidato il suo ministero alla protezione di Alfonso Maria de’ Liguori: «Pregare, predicare e dare udienza» sono i compiti di un
vescovo. La prima cifra di quel «programma» pastorale è «vocazionale». Tante volte, in particolare durante le dieci ordinazioni presbiterali di questi anni, e negli anniversari di sacerdozio, citando il santo patrono della diocesi il presule ha ricordato le due «grazie» della «vocazione» quale «prima chiamata» e della «perseveranza» come «seconda».
Ma ha anche spronato tutti, ciascuno per la propria parte, a sentirsi «umili operai consapevoli dell’onore impagabile di lavorare nella vigna del Signore». Lo ha fatto rivolgendosi ai catechisti e agli educatori durante la Messa crismale, nell’inizio dell’anno pastorale e nei convegni diocesani; incontrando ogni battezzato, i genitori, i giovani, le famiglie e i lavoratori. Lo ha ribadito nei pellegrinaggi per le vocazioni di novembre a Pompei; lo ha raccomandato alla Curia per gli auguri di Pasqua e Natale. E agli amministratori in pubbliche occasioni. Lo ha detto agli agricoltori nella tradizionale Giornata del ringraziamento, e alle città della diocesi nelle celebrazioni per i santi patroni.
Una seconda cifra del «cammino insieme» di questo decennio è il bisogno di «conversione». Monsignor Di Donna ha invitato tante volte i sacerdoti e tutta la Chiesa a lasciarsi convertire
dall’incontro con il Signore nella preghiera e nella parola di Dio, nei sacramenti e nella celebrazione eucaristica. E a farsi scuotere dall’ascolto paziente e senza sosta delle persone, della povera gente, nella visita alle famiglie.
Praticando quel «dare udienza», il vescovo Antonio è stato «convertito alla causa ambientale» dalle ferite dei ragazzi e bambini malati e morti di cancro, e dal dramma dei loro genitori.
Il suo impegno per la difesa della casa comune trova fondamento in una «teologia dell’incarnazione ancora poco predicata rispetto a quella della redenzione». Il professore di teologia pastorale cresciuto vicino agli scavi dell’antica Ercolano, alla periferia ma anche dentro la grande città e arcidiocesi di Napoli da vescovo ausiliare e vicario generale, ancora oggi esorta la vicina Chiesa “suffraganea” e “periferica” di Acerra a ritrovare e difendere la sua più autentica e profonda identità, e alle città della diocesi ripete di «vigilare», di proteggere la propria storia, le radici, la
vocazione agricola, le tradizioni culturali, la musica e l’archeologia.
Senza mai smettere di aggrapparsi «con le unghie» al «futuro dei nostri figli».
Antonio Pintauro