Coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto (Am 9,14)
Custodia del creato, legalità e agromafie.
72^ Giornata nazionale di Ringraziamento per i frutti della terra
Cattedrale di Acerra, 13 novembre 2022
Omelia del Vescovo Antonio Di Donna
Chi frequenta normalmente l’assemblea della domenica sa che in questo periodo dell’anno la parola di Dio si ferma su una verità di fede particolare, il tema degli ultimi tempi, la fine della storia. E Gesù, nel brano del Vangelo appena ascoltato, usa un linguaggio particolare, che i tecnici chiamano apocalittico, rivelazione. Un linguaggio a cui non siamo abituati, di difficile interpretazione.
Questi brani, che si trovano in tutti i Vangeli nell’ultima parte, dicono l’apertura al futuro della storia, dell’uomo, al nostro futuro. Questa tensione, l’apertura verso l’ultima venuta del Signore, è parte integrante della nostra fede, non possiamo cancellarla, lo diremo nel Credo tra poco: «Di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti e suo Regno non avrà fine». E ancora, in conclusione: «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».
Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, come adesso, lo facciamo nell’attesa della Sua venuta. La Chiesa ha un tempo specifico, lo vivremo tra 15 giorni: l’Avvento, in preparazione al Natale del Signore, alla Sua venuta nella storia 2000 anni fa, ma anche alla Sua ultima venuta, alla fine dei tempi. Dunque, è un tema cruciale, determinante della fede cristiana: senza questa tensione, senza questa attesa della venuta del Signore, il Cristianesimo si ridurrebbe a una morale, un insieme di regole da eseguire, di comandamenti, e soprattutto a una dottrina umana. Il Vangelo è invece, dall’inizio alla fine, attesa, tensione verso la venuta del Signore.
«Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino», dice Gesù in apertura del Vangelo, soprattutto di Marco, di Giovanni. E alla fine incontriamo questi brani, cosiddetti apocalittici, sugli ultimi tempi, sul tempo ultimo della storia, che va verso un traguardo, una fine, una meta: «I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Come interpretare oggi e qui questa parola del Signore? Intanto, Gesù non ci sta dicendo qualcosa sulla fine del mondo, semmai sul fine, lo scopo, il traguardo del mondo, il suo significato ultimo. Difatti, i fenomeni di cui Egli sta parlando – catastrofi, terremoti, carestie, pestilenze, segni dal cielo, e soprattutto persecuzioni dei discepoli del Signore: «Metteranno le mani su di voi, vi porteranno nei tribunali, vi uccideranno» – non sono eventi eccezionali, rari, bensì si verificano in ogni stagione della storia. Quale tempo, pure il nostro, non conosce questi fenomeni? Essi si verificano normalmente nelle varie fasi della nostra vita. Si tratta dei tempi di crisi: stiamo vivendo oggi, e non da oggi, uno di essi, e chi conosce la storia dell’uomo sa bene che ne è piena. Da tempo viviamo una sorta di fine del mondo, ma non del mondo in generale, bensì la fine di un mondo. Parecchi confondono la fine del loro mondo con la fine del mondo. Non è così: finisce il tuo mondo, termina un modo di pensare e tramonta un modo di vivere, ma non è la fine del mondo. La storia umana continua, fino a quando pure essa avrà un termine. Gesù è chiaro, ci sarà uno stop alla storia del mondo. Il Papa parla spesso di «cambiamento di epoca», e noi stiamo vivendo uno di questi cambiamenti di epoca. Basti pensare alle grandi sfide del nostro tempo: la pandemia, la guerra nel cuore dell’Europa, a cui ormai da ottant’anni non eravamo più abituati; la sfida di un ambiente sempre più degenerato, della terra inquinata, dell’aria tossica; e infine, la sfida, per esempio, delle grandi migrazioni, i flussi migratori. E’ notizia ancora di queste ore, di continui sbarchi di gente che attraversa viaggi difficili, durissimi, rischiando la vita pur di stare meglio in un altro paese. Sono le grandi sfide del nostro tempo, che indicano che stiamo vivendo, piaccia o meno, uno dei tempi di crisi che la storia conosce. E non è necessariamente un fatto negativo, perché dalla crisi si esce peggio, ma si può uscire anche meglio, migliorati.
Ma il punto centrale della parola di Dio di oggi è l’atteggiamento del cristiano in tempo di crisi, cosa dice Gesù ai discepoli sul come comportarsi «quando accadranno tutte queste cose».
Diciamo subito l’atteggiamento sbagliato, la paura: «Non vi terrorizzate quando accadranno queste cose» dice Gesù. Ma c’è un altro atteggiamento errato e diffuso: in un tempo di crisi e disorientamento, in cui anche le regole certe, i punti di riferimento vengono meno, può prevalere il “si salvi chi può”. Anche questo non è l’atteggiamento del discepolo, del cristiano. Ancora Gesù dice: «Non lasciatevi ingannare dai falsi maestri».
E infine il messaggio in positivo: «Nemmeno un capello del vostro capo cadrà. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». La pazienza evangelica è la capacità di resistere, di stare saldi, fermi. Nei tempi di crisi e di tempesta, se non puoi andare avanti, almeno cerca di non andare indietro, di non cadere; stai saldo, fermo, ad affrontare il vento contrario. Lo dice molto bene san Paolo nella seconda lettura ai cristiani di Tessalonica, rimproverandoli perché alcuni di loro in comunità sono pigri, probabilmente aspettano la venuta di Gesù, da un momento all’altro, con le mani in mano. Non lavorano, non mangiano il pane guadagnato con le loro mani. Paolo è chiaro: dovete lavorare, il Signore verrà, ma fino a quel momento voi dovete fare il vostro compito. E ricorda loro una legge che egli stesso ha dato in precedenza: «Quando eravamo presso di voi vi abbiamo dato questa regola: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi”». Lavorare dunque ogni giorno nell’attesa del Signore che viene.
L’atteggiamento che il Signore chiede in tempo di crisi, come lo è anche come il nostro, è guardare le cose, la vita e la storia, a partire dalla fine. Noi siamo abituati a partire dal passato, alla scuola elementare ci hanno insegnato i tre tempi del verbo, incominciando dal passato, presente e futuro. Secondo il Vangelo è l’opposto: guardare le cose del presente a partire dal futuro, guardare la storia e vivere la nostra vita a partire da quello che sarà. E che cosa avverrà? «Di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà fine». Ecco il futuro! E’ inutile illudersi, possiamo vivacchiare, tirare a campare giorno per giorno, ma il Vangelo è molto chiaro, e la fede della Chiesa è chiarissima: «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Se noi ci abituassimo a giudicare, a comportarci, a vivere la vita, a fare le nostre scelte, a elaborare i nostri criteri di giudizio a partire dal futuro, da quello che sarà, dalla fine della storia, probabilmente le cose andrebbero meglio. Ma abbiamo fiato corto e orizzonte limitato, e non riusciamo a vedere al di là della punta del nostro naso.
E ad Acerra? Come incarnare questa parola in questo tempo di crisi che pure nella nostra città stiamo vivendo? E’ inutile illudersi: c’è una situazione di stallo in città, un tempo di crisi in quattro ambiti particolarmente sensibili. Uno è proprio il campo dell’agricoltura, l’altro la salute; un altro ancora l’ambiente inquinato, e da tempo. Ma in queste settimane, anche se già esisteva da molto prima, è scoppiata una quarta area di crisi: la scuola. Pensiamo a tutto il dibattito, molto forte, di questi giorni sulla destinazione del Primo circolo, sulle scuole che non trovano spazio, sulla possibilità di ospitare il Commissariato cittadino all’interno del Primo circolo. Anche la scuola sta diventando un’area sensibile, e come Chiesa riprenderemo l’impegno per la città a partire da questi ambiti.
Certo, sarebbe stato più utile affrontare queste crisi prima delle elezioni, con un patto elettorale, come è successo per la quarta linea dell’inceneritore, contro la quale si sono dichiarati, grazie a Dio, tutti gli schieramenti e speriamo che mantengano le loro posizioni evidentemente. Un patto elettorale tra cittadini, elettori e candidati sarebbe bastato, ma questo presuppone una classe politica all’altezza della situazione, di spessore. Come anche una cittadinanza attiva, gelosa del proprio diritto dovere di partecipare alla cosa pubblica, cittadini non legati alle clientele di turno, cittadini e non sudditi.
Oggi è la 72esima Giornata nazionale del ringraziamento per i frutti della terra. «Custodia del creato, legalità e agromafie» è il sottotitolo del tema scelto dai vescovi per quest’anno. Per una felice coincidenza celebriamo anche la Giornata mondiale dei poveri voluta da papa Francesco in tutte le chiese del mondo. E’ una opportuna congiuntura, perché terra e poveri vanno sempre insieme. Il grido della terra e dei poveri si identificano, non c’è una crisi ambientale che non sia legata anche a una crisi sociale e a una crisi sanitaria. Terra, poveri e malati vanno sempre insieme.
Ho voluto valorizzare questa Giornata del ringraziamento, e lo farò in futuro, fin dal mio arrivo ad Acerra. Ringrazio molto gli amici agricoltori che sono venuti e hanno portato i frutti della terra. La nostra agricoltura ha vissuto la crisi, e in parte la vive ancora. A causa di scelte scellerate del passato abbiamo consegnato i migliori terreni di Acerra all’industria pesante. Poi è venuto il dramma dell’inquinamento: abbiamo fatto collocare Montefibre, l’Inceneritore. Tutto questo ha fatto abbandonare i campi. Ha provocato la difficoltà di piazzare e vendere i nostri prodotti, ma soprattutto si è rotta quell’alleanza, antica ad Acerra, con la madre terra. Sono stati colpevolizzati soprattutto gli agricoltori, campagne di stampa pilotate e qualche ambientalista ingenuo hanno provocato il crollo economico dei nostri prodotti in maniera indiscriminata, alimentando la sfiducia tra i consumatori, intimoriti, disorientati, e tra questi anche noi, della nostra città.
Questa mattina dico tre parole. Una anzitutto agli amici agricoltori. Grazie per il vostro lavoro, soprattutto ai giovani contadini. Non abbandonate i campi, cercate forme di cooperazione, fate rete, fate rete, perché l’agricoltura acerrana abbia più peso, siate le prime sentinelle del territorio, vigilate, vigilate: se tutti i contadini lo avessero fatto in passato, forse non sarebbe successo quello che è successo. Siate fieri del vostro lavoro, tallonate l’Amministrazione comunale perché vi dia un piano agricolo, perché ci siano progetti, e non piccoli traguardi, meschini traguardi. Fate conoscere i vostri prodotti. La Chiesa vuole darvi una mano, ma dovete essere uniti. Mettiamoci insieme: Chiesa, agricoltori, Amministrazione e cittadini.
La seconda parola vorrei dirla agli amici che amministrano la Cosa pubblica comunale. Sostenete, date priorità all’agricoltura, essa salverà la città. Acerra non ha futuro senza l’agricoltura, significherebbe negare la sua vocazione storica, una trasformazione innaturale. Cari amministratori, mettete persone competenti negli uffici preposti, i migliori agronomi, tecnici, per aiutare e sostenere gli agricoltori, sfruttate le occasioni di finanziamento e di sviluppo dell’Europa o altri enti. Dotatevi di un vero piano agricolo, ma soprattutto, soprattutto, e certe volte sono stanco, lo vado gridando da nove anni, blindate, blindate il territorio, blindate il nostro territorio, blindate le nostre campagne, non permettete che nemmeno un centimetro dei terreni di Acerra possa essere sottratto all’agricoltura, o a favore di impianti inquinanti, che non mancano mai, o per nuovi sviluppi piani territoriali, nuove case e cemento. Prima blindate il territorio, prima blindate il terreno agricolo, poi il resto, che pure è necessario.
Vorrei sbagliarmi, essere smentito, ma io noto una frammentazione, una frammentazione! Anzitutto, amici contadini, fra voi. Cari agricoltori, come i vostri appezzamenti di terreno ad Acerra sono frammentati, non una parte unica che favorirebbe lo sviluppo agricolo, rischiate pure voi di essere frammentati. Come non ricordare, caro Filippo e gli altri amici, che c’è stata una stagione di entusiasmo, una primavera in cui abbiamo cercato insieme di unirci! E’ durato poco! Si è intromesso qualcuno, qualche realtà che ci ha divisi, e sfruttando gli interessi solo di alcuni contadini, ha diviso l’unità, e chi divide viene dal diavolo, che significa «colui che divide». E oggi si aggiunge un ulteriore pericolo, quello di saccheggiare i nostri terreni agricoli, a causa di speculatori, e piani particolari che vogliono ancora prendere, prendere, prendere dai nostri terreni.
Non basta, non basta salire su un trattore e farsi fotografare con il volante in mano per dire di essere davvero dalla parte dei contadini! L’agricoltura non si rilancia con politiche contingenti che soddisfano interessi particolari del momento, ma con interventi organici, sistematici. Il vasto territorio agricolo di Acerra è a rischio, è a serio rischio, perché ci sono tentativi di mangiarselo. E invece non deve essere toccato, non deve essere toccato!
E l’ultima parola è per noi, cari amici, cittadini e consumatori. A me per primo vorrei dire: abbiamo fiducia nei contadini, nello sviluppo agricolo della nostra terra. I prodotti sono monitorati, sono buoni, facciamo come si dice, a chilometro a zero, non lo so, ma abbiamo fiducia dei nostri contadini.
E una parola ultima, ma dura, durissima, la voglio dire a quelli che ancora si ostinano a inquinare, gettando rifiuti sulle rampe dell’asse mediano o appiccando i roghi tossici: sono assassini, assassini dell’ambiente. Chi appicca i roghi tossici produce veleno, diossina e produce malattie e morte. Gli atti contro l’ambiente non sono solo reati, sono peccati mortali e vanno confessati. Si tratta di biocidio, di assassinio della vita, perché quando si tocca la terra si attenta all’integrità dell’uomo.
Ho detto che oggi è anche la Giornata dei poveri. Il grido della Terra è anche il grido dei poveri e vorrei segnalare le varie povertà esistenti, non solo quelli che vengono alla Caritas a prendere il pacco, pure quelli, e voglio fare stamattina un elogio della Caritas diocesana, delle Caritas delle parrocchie della nostra diocesi, che veramente sostengono l’onda d’urto: vengono a portare le bollette che non riescono a pagare e la Caritas si fa carico, la Chiesa si fa carico in attesa di qualche provvedimento, se verrà: Dall’Europa? Chiacchiere! Dal Governo italiano? Chiacchiere! Chi farà qualcosa per sostenere le difficoltà delle famiglie che non riescono a pagare bollette che hanno raggiunto una cifra tre volte tanto, se non di più? E speriamo che non accada che tra poco le piccole aziende dovranno chiudere perché non ce la fanno. Altro che crisi! Ma c’è soprattutto una povertà ben più grave, che è una povertà educativa, povertà culturale, questa è molto più grave ed e più difficile da affrontare. E pure su questo fronte, nel nostro piccolo, la Caritas diocesana si adopera con il Centro educativo, il Centro diurno e altro.
In chiusura ricordo qual è l’atteggiamento del cristiano in tempo di crisi: guardare le cose, e soprattutto vivere, a partire dalla fine. E guardando a partire dalla fine, significa chiederci: quando tutto passerà, perché noi passeremo, non siamo eterni, che cosa rimane? Che cosa veramente conta? Che cosa ci portiamo appresso? Che cosa è essenziale? Perché la storia sarà giudicata; la storia, nonostante quello che dicono tutti i grandi professoroni e i potenti della terra, da sola non è capace da se stessa di dare un giudizio definitivo. Sarà giudicata la storia, e questo giudizio viene dall’alto, non dal basso, non dall’uomo, viene da un Altro.
E questo giudizio noi lo conosciamo, sappiamo già qual è: «Avevo fame che mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato. Ero in carcere e siete venuti a trovarvi, ero ammalato e mi avete visitato … o non avete fatto questo». Il giudizio sarà questo, noi lo sappiamo già, ce l’ha detto Lui: «Venite benedetti del Padre mio» oppure: «Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno». E il giudizio non è stato cancellato, è una pagina del Vangelo terribile che rimane, non per far paura, il Vangelo non vuole terrorizzare, ma mettere in guardia.
La storia sarà giudicata e non dal suo interno, perché non è capace di farlo, la storia non può farlo, nessuno umano può fare un giudizio definitivo, ma la storia verrà giudicata dall’alto.
Ma chiudiamo, come sono solito fare in questa Giornata, ringraziando il Signore in questa settantaduesima giornata di Ringraziamento per i frutti della Terra, per i prodotti di eccellenza della nostra terra. Io li guardo, anche se non ci sono tutti quelli che elenco: Benedetto sei Tu Signore, per le nostre zucche, per i carciofi, per le mammarelle, per le patate, per i fagioli dent e muort, per i fagioli di Calabricito, i fagioli rossi. Benedetto sei Tu Signore, per i pomodori San Marzano, le melenzane, le scarole, le bietole, i peperoni, il cavolo torzella. Ho mancato i finocchi, li ho qui davanti a me.
Benedetto sei Tu Signore, per tutto questo sii Benedetto nei secoli, oggi e sempre, amen!