Indicare “agli uomini e alle donne del nostro tempo” la via per “realizzarmi ed essere felice, adesso e per sempre”, è il compito irrinunciabile della Chiesa. Una comunità parrocchiale o diocesana che non se ne renda conto, o addirittura si opponga a tale missione, è destinata a diventare “museo”, tradendo il Vangelo e rinnegando se stessa.
Domenica scorsa in Cattedrale, il vescovo Antonio Di Donna ha esortato la Chiesa particolare di Acerra all’inizio dell’anno pastorale a “passare dalla devozione ad una fede matura e consapevole” e intercettare la domanda di vita, verità e di senso degli uomini contemporanei.
Per Di Donna, al centro di tutte le “fatiche e le delusioni pastorali, giorno dopo giorno”, deve infatti situarsi la “domanda di fondo” del giovane ricco a Gesù: “Cosa devo fare per avere la vita?”. La domanda sulla “salvezza per sempre” deve diventare cioè la priorità assoluta, soprattutto in quelle comunità, parrocchiali o diocesane, dove tutto sembra funzionare alla perfezione e invece c’è il rischio di dimenticare proprio questa finalità e priorità “essenziale” e “fondamentale”.
Con un’altra irrinunciabile consapevolezza: “Non siamo noi, nemmeno la Chiesa, a dare la salvezza, ma solo il Signore”. Noi siamo “strumenti posti nel mezzo: tra l’azione di Dio e gli uomini e le donne del nostro tempo”.
La domanda del giovane ricco “riguarda da vicino” ognuno di noi, come anche la risposta di Gesù, il quale indica un “primo livello di base, l’osservanza dei Comandamenti, che però può essere viziata” senza il passaggio da una fede di regole e precetti ad un “orientamento diverso”, capace di coinvolgere tutta la vita: “Vieni e seguimi”. Non un altro comandamento, un’altra “buona opera” da compiere, ma la “sequela”, il discepolato. Dobbiamo diventare “discepoli” e non continuare ad essere semplici “osservanti”, ha esortato Di Donna i fedeli che insieme ai parroci avevano raggiunto la Cattedrale da tutte le comunità della diocesi. Perché, ha aggiunto il presule, “questo è quanto chiede lo spirito alla Chiesa in questo nostro tempo: suscitare la fede”, e “accogliere la Parola di Dio, “spada tagliente” per l’autore della Lettera agli Ebrei, rivestendosi di quella “sapienza” che legge e riconosce le cose importanti con gli “occhi del Vangelo”. Perciò, Di Donna ha richiamato la singolare coincidenza dell’inizio del Concilio Vaticano II – aperto l’11 ottobre di 53 anni fa da papa Giovanni XXIII – di cui domenica scorsa si celebrava la prima memoria liturgica dopo la canonizzazione dello scorso aprile. “Cosa ne abbiamo fatto del Concilio, che apriva la stagione del rinnovamento della Chiesa attraverso le quattro strade della liturgia, dell’accesso alla Parola di Dio di tutti i battezzati, del richiamo alla comunione come centro della vita della Chiesa e al rapporto con il mondo contemporaneo come missione irrinunciabile?”, si è chiesto provocatoriamente il vescovo.
Il passaggio da una fede devozionale, di osservanza e riti, ad una fede adulta e matura, di sequela, è il filo rosso che lega i primi due anni di esercizio del ministero pastorale del vescovo Antonio Di Donna ad Acerra. Lo ha ricordato egli stesso prima di consegnare simbolicamente le linee programmatiche di quest’anno ai vicari foranei della diocesi, indicando alcuni snodi fondamentali: la valorizzazione degli incontri e la formazione di coloro che chiedono i sacramenti, per passare da una fede di tradizione all’incontro vero con Gesù; l’educazione dei vicini alla missione; il recupero dello sguardo pieno di amore e compassione del Signore.
Dobbiamo aiutare quelli con la “fede debole” – che chiedono battesimo, comunione, cresima e matrimonio – ad “innamorarsi” di Gesù, ha chiarito Di Donna, “contrastando, senza mollare, la mentalità che vede i sacramenti come costume sociale, momento tradizionale di festa”. Ai genitori bisogna spiegare che “i figli vanno al catechismo per innamorarsi di Gesù prima ancora che per ricevere la comunione”. E innamorarsi di Gesù significa “frequentare la Parola di Dio e partecipare alla Messa domenicale”. “Non è possibile, è assurdo”, ha tuonato il vescovo, arrivare alla prima comunione o alla cresima senza mai aver preso parte alla celebrazione eucaristica domenicale, che deve diventare il “primo criterio fondamentale di idoneità ai sacramenti”, una “cosa seria da ricevere al termine di un cammino”, e se non ci sono “segni minimi ma chiari” di partecipazione, essi vanno almeno “rinviati”. “Queste sono le condizioni di sempre, che si trovano negli Atti degli apostoli, e non un capriccio del vescovo Antonio”, per il quale un altro snodo fondamentale è l’educazione dei “vicini alla missione”. “Non chiudetevi nei vostri gruppi”, ha esortato Di Donna, bensì diventate “comunità missionarie”, che si “ossigenano” con la celebrazione eucaristica della domenica, la catechesi settimanale e i momenti di adorazione del Signore, ma che poi trovano il coraggio di “andare nel difficile mondo della famiglia, del lavoro, degli ospedali, della politica, dell’economia e del mercato”, per “portare il sale del Vangelo dove l’uomo vive”.
Ma c’è una condizione fondamentale affinché tutto questo avvenga: la capacità di assumere lo “sguardo” con il quale Gesù “amò” quel tale di cui parla il Vangelo di Luca. E’ tempo di recuperare “uno sguardo di amore e compassione sulla moltitudine e la gente”, ha detto ancora una volta il vescovo, perché “senza lo sguardo d’amore per la comunità ricevuta dal Signore affiorano le patologie del pastore e delle persone: collera, rigorismo, intransigenza e lontananza”. Al contrario, lo sguardo d’amore rende il “pastore generoso”, capace di “avere sempre tempo per ascoltare la gente” e di rendere “trasparente” la gestione economica della vita della parrocchia; aiuta inoltre anche i laici a non chiudersi in gruppi ristretti ed autoreferenziali, preservandoli dalla tentazione di assumere “i limiti del pastore come grimaldello o pretesto per il proprio disimpegno”.
Concludendo “la Messa della Chiesa locale raccolta intorno al suo pastore”, Di Donna ha pronunciato un grande e generale “grazie a voi tutti, operai nella vigna del Signore: sacerdoti, religiosi, diaconi, membri dell’Azione cattolica”. Grazie per la comunione nelle nostre comunità e la partecipazione alla vita della diocesi, che vive nelle singole comunità, che a loro volta non esistono senza la diocesi, Chiesa locale intorno al suo pastore. Per questo sono importanti questi momenti unitari, poche volte all’anno ma “sentiti”, ai quali non vanno posti “impedimenti qualsiasi”, per sentire l’”appartenenza” alla Chiesa santa cattolica, apostolica, pellegrina di Acerra, “piccola porzione del popolo di Dio affidato alla cura del vescovo”. E infine, l’incoraggiamento: “Non vi scoraggiate nonostante le delusioni”, perché “quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio” che “può tutto”, per cui “il vivere da cristiani, quanto Gesù opera in noi, viene prima ed è più importante di ciò che facciamo”. A partire dalla comunione tra presbiteri e laici in parrocchia, tra preti e tra preti e vescovo in diocesi, che deve diventare un priorità rispetto al lasciarsi assorbire dal proprio lavoro, ed è frutto di quella sapienza capace di individuare le priorità. Di Donna ha messo l’anno pastorale nelle mani di Maria, come Giovanni XXIII e Paolo VI, che proprio alla Madre del Signore avevano affidato l’apertura e la chiusura del Concilio Vaticano II.