Oggi in un’unica festa celebriamo la gloria di tutti i santi, quella «moltitudine immensa» di cui parla l’Apocalisse, che «nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua», quelli che stanno «davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide».
Di solito pensiamo alla santità come ad una conquista, ad un’impresa per noi quasi impossibile; diceva un cristiano: “Io santo? No, non è per me”. Ci fanno pensare alla santità irraggiungibile anche la posizione delle statue dei santi nelle chiese: poste in alto, a stento alcune si riescono a toccare, e anche l’idea che i santi siano uomini e donne perfetti fin dalla nascita. Ma se vediamo realmente la vita dei santi, scopriamo che non è così. Se avessimo incontrato san Paolo prima della conversione, avremmo avuto paura di lui (cf At 9,1-2); se avessimo incontrato san Francesco con i suoi amici per le strade di Assisi, non ci sarebbe sembrato proprio un santo. Madre Teresa di Calcutta che per tutti era una santa già in vita per quello che faceva, dice di se stessa: «Sì, ho molte debolezze umane, molte miserie umane. […] Ma Lui si abbassa e si serve di noi, di te e di me, per essere suo amore e sua compassione nel mondo, nonostante i nostri peccati, nonostante le nostre miserie e i nostri difetti» (in Gaudete et exsultate 107).
Questa solennità ci dice che la santità non è una conquista frutto delle nostre opere, dei nostri sacrifici e delle nostre rinunce e mortificazioni, ma è prima di tutto un dono, perciò Giovanni ci ricorda: «vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». E aggiunge: «noi fin d’ora siamo figli di Dio». Siamo figli di Dio, di un Padre veramente santo, «fonte di ogni santità» (Preghiera eucaristica II). Col battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio, questo ci ha resi già santi, perciò san Paolo quando scrive ai cristiani si rivolge loro chiamandoli santi: «Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù (Ef 1,1; cf anche Rm 1,7; 1Cor 1,2;; Fil 1,1). Abbiamo già il dono della santità e come ogni dono va usato, siamo chiamati a viverlo quotidianamente, secondo la vocazione propria di ciascuno in ogni cosa che facciamo. Per questo papa Francesco dice: «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere» (Gaudete et exsultate 7). La santità, dunque, è un dono per la nostra vita quotidiana: nel lavoro, nello studio, negli affanni, nelle difficoltà che si possono incontrare quotidianamente, ricordiamo che abbiamo un dono che ci sostiene: lo Spirito di santità; invochiamolo, chiediamo aiuto, lasciamoci guidare, illuminare, rialzare nelle cadute, mettiamo davanti a Lui le nostre debolezze, chiediamo perdono dei peccati.
Il papa dice che nelle Beatitudini Gesù ci ha spiegato cos’è essere santi:
«Essere poveri nel cuore, questo è santità.
Reagire con umile mitezza, questo è santità.
Saper piangere con gli altri, questo è santità.
Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità.
Guardare e agire con misericordia, questo è santità.
Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità.
Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità» (vedi Gaudete et exsultate 65-94).
La schiera dei santi che oggi celebriamo ci dice che non siamo soli, loro pregano per noi e ci incoraggiano con l’esempio della loro vita.
Maria, la Regina di tutti i santi, ci aiuti a vivere la santità che abbiamo ricevuto.
don Alfonso Lettieri