Ogni domenica professiamo la nostra fede e di solito non abbiamo nessuna difficoltà nel farlo. Scandiamo per quattro volte la parola “Credo” e riguardo al Figlio diciamo anche: «Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, mori e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato». È un momento molto bello – purtroppo vissuto in fretta come passaggio dall’omelia alla preghiera dei fedeli. Dicendo e ascoltando le verità della nostra fede ci riconosciamo appartenenti ad un solo corpo, la Chiesa, e da essa sostenuti anche nella nostra debolezza, nelle difficoltà nel vivere ciò che professiamo. Pregando il Credo, ci diciamo a vicenda: “Gesù è vivo, sta in mezzo a noi”, ci riconosciamo credenti in lui, quindi fratelli e sorelle, ci incoraggiamo ad affidarci a lui, perché «la fede non è opera dell’individuo isolato, non è un atto che l’uomo possa compiere contando solo sulle proprie forze, ma deve essere ricevuta, entrando nella comunione ecclesiale che trasmette il dono di Dio» (Lumen fidei 41). Ogni domenica professiamo la nostra fede perché abbiamo bisogno di rinnovarla, rinvigorirla, di riannunciarla a quel “Tommaso” che sta in ciascuno di noi: «Abbiamo visto il Signore!». I Vangeli non nascondono le difficoltà che vivono gli apostoli e questo ci incoraggia molto: non spaventiamoci se anche noi vogliamo verificare di persona la verità di ciò che ci viene annunciato, anzi è necessario farlo perché quella fede che mi viene donata, deve diventare la “mia” fede, quel Signore deve diventare il “mio” Signore. Come ha fatto con Tommaso Gesù fa con noi, viene incontro alla nostra incredulità e ci dà indicazioni preziose per poterlo vedere: «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso». Otto giorni dopo: ogni domenica il Risorto si fa presente in mezzo ai suoi, dà a tutti noi un appuntamento preciso, nella comunità che si raduna noi lo incontriamo. Adesso lo stiamo incontrando nella sua parola, tra poco si offrirà a noi nell’Eucaristia e darà a ciascuno la possibilità di toccare il suo Corpo vivo così come ha dato la possibilità all’apostolo.
«Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Per farsi riconoscere mostra le sue ferite, queste ci ricordano fin dove è arrivato il suo amore per noi, fino a dare la vita, ci dicono che possiamo vincere la nostra incredulità toccando ancora oggi le sue ferite, la sua umanità ferita, «che sono i tanti problemi, difficoltà, persecuzioni, malattie di tanta gente che soffre» (Papa Francesco). E l’umanità ferita è anche la nostra vita, sono le nostre resistenze, la nostra incredulità: questo non ci deve spaventare, il risorto non conosce ostacoli, entra e porta la sua luce al buio dei nostri limiti, dona la sua pace alle nostre inquietudini. “Entra a porte chiuse”, cioè la sua presenza è prima di tutto un dono gratuito che non conosce ostacoli, niente può impedire a Dio di amarci.
Oggi si celebra la “Domenica della divina Misericordia”, istituita nel 2000 da san Giovanni Paolo II. Il Risorto dona lo Spirito Santo e affida agli apostoli, alla Chiesa la sua stessa missione: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati».
Perdonandoci il Signore ci ha restituito la dignità e la grazia perduta, ci ha restituito la vita e continua a farlo sacramentalmente attraverso i suoi ministri, ma tutti abbiamo ricevuto lo Spirito e siamo chiamati a usare misericordia come Gesù ha fatto con noi (cf Lc 6,36), a perdonare come siamo stati perdonati. Con la sua misericordia data anche attraverso noi, il Signore ridona la dignità perduta col peccato e converte i cuori più induriti. È la misericordia ricevuta la nostra forza, è questa la forza da usare contro il peccato e la malvagità dell’uomo, l’unica che può assicurare la conversione e la pace.
Ne I Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Lucia, rapita dai “bravi”, supplicando l’innominato di liberarla dice: «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!». Queste parole ritornano in mente all’uomo malvagio proprio «al momento di finire una vita divenuta insopportabile… Fu quello un momento di sollievo – dice il Manzoni –: levò le mani dalle tempie, e, in un’attitudine più composta, fissò gli occhi della mente in colei da cui aveva sentite quelle parole; e la vedeva, non come la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma in atto di chi dispensa grazie e consolazioni» (cap. XXI). Non esitiamo ad usare misericordia, ad incoraggiare a fare il bene, la misericordia è un seme fecondo che sicuramente porterà sempre buoni frutti.
don Alfonso Lettieri