«Fedele fino alla fine, anche sul letto del dolore e della sofferenza, con le braccia aperte come Cristo Crocifisso». E’ l’immagine toccante evocata il 13 marzo in uno dei passaggi dell’omelia del vescovo Antonio Di Donna per la Messa funebre di don Vincenzo Marletta, sacerdote e della nostra diocesi morto il giorno prima. Nella Chiesa di san Giuseppe ad Acerra, comunità della quale «don Vincenzo non è stato semplicemente il primo parroco, ma colui che l’ha fondata e accompagnata, costruendo prima un popolo – fin da quando celebrava nei palazzi e nei sottoscala del Rione – e poi, insieme con esso, questo tempio, accompagnando il suo popolo nelle gioie, nei dolori e nelle lacrime, nelle sofferenze ma anche nelle conquiste».
Un popolo «molto amato» da don Vincenzo, amore ricambiato oltre i confini della parrocchia stessa: «La gente di Acerra ha amato le sue doti di sacerdote attivo e di pastore generoso che realmente ha vissuto in pieno il suo ministero», ha detto Di Donna.
L’affetto era testimoniato non solo dalla presenza ai funerali dai tanti “semplici” e “poveri” del “Quartiere Madonnelle”, ma anche dai commenti sui social network: «Don Vincenzo Marletta, testimone di umiltà, carità e fede. Missionario di tutte le periferie, zelante esecutore del suo mandato sacerdotale. I suoi sguardi, i suoi sorrisi, i suoi abbracci, la sua cristianità, erano e sono mezzo per lo Spirito Santo per conquistare i cuori di chi lo ha incontrato», scrive Alfonso Maria, certo che don Vincenzo continuerà a «pregare insieme a noi per alleviare le nostre pene». Eleonora, oggi giovane impegnata in parrocchia nell’Azione cattolica, di cui don Vincenzo è stato assistente diocesano, scrive: «Grazie per averci “cresciuti nella fede” con semplicità e umiltà; grazie, perché ci hai insegnato che “Dio è amore”; grazie, perché hai portato Cristo dove nessuno ha mai portato nulla di buono. “A-Dio”, don Vincenzo!».
Insieme con il vescovo, hanno celebrato tutti i sacerdoti della nostra diocesi. «Per me e per i sacerdoti della nostra Chiesa chiedo in questa Eucarestia il dono della fedeltà e della perseveranza, della resistenza fino alla fine, nonostante tutto, senza tirarsi indietro e venir meno alla parola data, alla chiamata che il Signore ha fatto», ha detto Di Donna. Sull’esempio e «davanti al corpo» di don Vincenzo, il vescovo ha voluto «ringraziare il Signore per questa fedeltà che non ha prezzo» e che don Vincenzo ha testimoniato «nel servizio alla Chiesa di Acerra come ministro del Signore e pastore di un popolo», per il quale «si è speso a lungo», nello «spezzare il pane della Parola» e «celebrando l’eucarestia e i sacramenti».
Eppure, ha osservato Di Donna, noi «non apprezziamo abbastanza, talvolta sottovalutiamo questo dono della perseveranza, vissuto goccia per goccia, giorno per giorno, per lunghi anni, fino alla fine, nonostante gli ostacoli, le resistenze, la stanchezza, le difficoltà e le incomprensioni, mentre invece dovremmo pensare a quanto sia alto questo compito, questo sacrificio: un prete che per lunghi anni rimane pastore della sua comunità, che non rinuncia, non abbandona, ma rimane fermo, lì, fedele fino alla fine».
Il vescovo ha poi invitato tutti a «rinnovare la nostra fede, al cospetto della Parola di Dio, luce per il nostro cammino». Quella fede in Cristo Risorto «che don Vincenzo nella sua vita di sacerdote ha suscitato, annunciato, consolidato e rafforzato in tutti quelli che erano affidati alla sua cura pastorale»; quella «fede, dono prezioso e inestimabile, che don Vincenzo ha ricevuto in famiglia e che ha conservato fino alla fine, sul letto di dolore nella clinica Villa dei Fiori».
L’esistenza di don Vincenzo e il brano evangelico del «padrone e dei servi», letto durante la liturgia funebre, ci illuminano «sul significato della vita», indicandoci che essa è «servizio, e noi non siamo padroni ma amministratori dei doni che il Signore ci ha dato: guai a sentirci padroni della vita, padroni dell’ambiente, padroni di tutto quello che è attorno a noi», ha ammonito il vescovo, affermando che «questa visione della vita come servizio, come tempo che ci è dato per essere amministrato e di cui dovremo rendere conto, rende la vita stessa piena di fascino, di creatività, e non un insieme di giorni o di anni uno dopo l’altro, uno accanto all’altro, da portare avanti con stanchezza, nel “tirare a campare” tipico del nostro dialetto».
«Adesso egli riceve il premio per le sue fatiche, adesso che la sua giornata terrena è finita, adesso che si sciolgono le vele, come dice San Paolo con un’immagine suggestiva, adesso che lui entra nel porto del riposo, adesso noi diciamo “Grazie Signore, per averci donato un sacerdote così, pastore che ha amato il suo popolo e che è stato riamato da esso, accoglilo nella Tua casa”», ha concluso Di Donna, immaginando don Vincenzo «accolto nella Gerusalemme celeste da tutti coloro che egli ha accompagnato nella sua vita sacerdote, anche nell’ultimo viaggio, a fare festa e a ricomporre, in un’altra dimensione e un altro luogo, la comunità che egli aveva costruito qui quando viveva in mezzo a noi, la comunità dei santi dove egli, pastore in eterno, fa festa con i suoi fedeli».
Perciò, la preghiera finale: «Grazie Signore, per don Vincenzo, e dà alla Tua Chiesa, tanti pastori dal cuore buono e generoso come lui».