Celebriamo quest’anno la solennità di Sant’Alfonso, nostro patrono, nei primi vespri della sua festa, qui a Santa Maria a Vico, in un luogo che ha visto la sua opera e in questa Chiesa da lui voluta e costruita.
L’orazione-colletta della Messa di sant’Alfonso incomincia così: «O Dio, che proponi alla tua Chiesa modelli sempre nuovi di vita cristiana…». È un capolavoro, in poche parole dice molte cose. Dice che lo Spirito del Signore suscita, lungo i sentieri del tempo, nella Chiesa, forme, “modelli” diversi di vita cristiana. Il Vangelo e la fede della Chiesa sono sempre gli stessi ma lo Spirito suscita modelli nuovi per tradurre il Vangelo perenne nei contesti diversi della storia umana; non è il Vangelo a cambiare ma è l’uomo che cambia. I Vescovi italiani espressero tutto questo negli Orientamenti per gli anni 2000 con l’espressione Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Dunque, non esiste un unico modello di vita cristiana; i santi sono questi modelli nuovi che traducono il Vangelo in quella determinata epoca. Questa è la bellezza del Vangelo e della Chiesa: antico e sempre nuovo, l’unico Vangelo ispira modelli diversi. E per “modelli” non si intende soltanto la vita nuova di quel santo ma anche il suo progetto, la sua azione pastorale, il suo metodo.
Sappiamo in che cosa sant’Alfonso sia stato un modello nuovo di vita cristiana per un’epoca, il Settecento, il secolo dell’Illuminismo, degli inizi della scienza moderna, e della nascita della coscienza individuale. Non è questo il momento di ripercorrere questo filone; rinvio al necessario approfondimento delle fonti. Ma vorrei provare ad offrire alcune esemplificazioni, facendomi guidare dalla prima lettura tratta dal profeta Isaia.
«Lo Spirito del Signore mi ha inviato a portare il lieto annuncio ai poveri». Il Vangelo ai poveri è il segno della novità; ai messaggeri di Giovanni Battista Gesù, parlando dei segni della sua missione, dice, tra l’altro, «ai poveri viene annunziato il Vangelo». Sant’Alfonso ha portato il lieto annuncio ai poveri, prima nei bassifondi della Napoli del tempo e, poi, ai “cafoni”, ai contadini abbandonati delle zone interne del Regno di Napoli. Le “Cappelle serotine” (una sorta di attuali centri del Vangelo) e le Missioni popolari sono state le forme nuove di questa evangelizzazione ai poveri. Ma, soprattutto, la novità dell’Annuncio alfonsiano riguarda quell’immagine di Dio che si è rivelata in Cristo, contro la corrente giansenista che annunciava un Dio freddo, lontano, giudice… La centralità del Natale del Signore (“Ninno bello”) e della Passione è il segno che tutta la predicazione di Alfonso riguarda l’amore di Gesù. La pratica di amare Gesù Cristo è, forse, il libro più bello e importante di Sant’Alfonso.
Come recuperare oggi questa fede vista soprattutto come “innamoramento”, senza la paura di un Dio che castiga? «Il Signore mi ha mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati… a consolare gli afflitti… a promulgare l’anno di misericordia del Signore». Ai tempi di Alfonso era diffusa un’interpretazione rigorista della vita morale. Era sottolineata la priorità della legge sulla libertà; tale rigorismo portava ad una severità eccessiva che rischiava di allontanare le persone dalla fede. Era diffusa la mentalità giansenista che, anziché alimentare la fiducia nella misericordia di Dio, fomentava la paura e presentava un volto di Dio arcigno e severo. Alfonso propone una sintesi equilibrata tra l’esigenze della legge di Dio e la coscienza.
“Modelli sempre nuovi di vita cristiana”. Ed oggi? Quale “modello di vita cristiana” lo Spirito suscita nelle nostre Chiese? Per questa nostra epoca che Papa Francesco descrive non come “epoca di cambiamenti” ma come “un cambiamento di epoca”, che esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”? In particolare, in questa congiuntura sanitaria ed economica che ci chiede di rivedere “le nostre agende, le nostre abitudini, le nostre priorità e di reimpostare la rotta della vita”? Ci troviamo di fronte ad una situazione inattesa, che ci spinge a cercare vie nuove per servire il popolo di Dio. «Non è una parentesi! Questo tempo ci parla, urla, ci suggerisce di cambiare» (Mons. Derio Olivero).
I Vescovi della Campania ci hanno offerto uno strumento per leggere questo tempo con gli occhi della fede (Per una lettura sapienziale del tempo presente). Leggiamo questo Documento; lo riprenderemo nel prossimo Convegno diocesano.
Certo, considerata la situazione ancora in evoluzione, non è possibile indicare con precisione un programma, le cose da cambiare e quelle da assumere. Più chetempo di risposte da dare, questo è il tempo di intercettare domande e di operare quel discernimento comunitario che permetta alla nostra Chiesa di rivedere il proprio cammino alla luce del passaggio doloroso del Covid.
Certamente, però, una lettura sapienziale della pandemia non può prospettare il semplice ritorno alla situazione di prima. Chi considerasse questo periodo come una parentesi da superare rapidamente, si illude. Perciò, superiamo le resistenze. Ascoltiamo ciò che lo Spirito in questo tempo dice alle nostre Chiese. Superiamo le nostre resistenze. In particolare, non continuiamo a parlare solo di “prime comunioni” da riprendere, non continuiamo a investire tempo, energie, persone sulle cose di sempre. Sì, continuiamo nella consueta prassi pastorale, ma non più di tanto: lasciamo che “i morti seppelliscano i loro morti”.
Vi chiedo che:
non solo nelle Chiese e negli uffici, ma anche (anzi, soprattutto) “fuori”;
non solo il centro, ma anche (anzi, soprattutto) le periferie;
non solo attenzione ai vicini, ma anche (anzi, soprattutto) ai lontani;
non solo burocrazia e documenti, ma anche (anzi, soprattutto) cura delle relazione e più tempo dedicato all’ascolto;
non solo messe e sacramenti, ma anche (anzi, soprattutto)Parola di Dio, più Vangelo e più catechesi;
non solo leggi e regole, ma anche (anzi, soprattutto) misericordia, misericordia, misericordia;
non solo impegno, ma anche (anzi, soprattutto) preghiera.
In fondo, a pensarci bene, è tutta questione di “sguardo”. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato si dice che «Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione…».
Da questo sguardo di compassione sulle folle tutto è partito. Ci conceda il Signore, per intercessione del nostro sant’Alfonso, questo sguardo di compassione sulla nostra gente.
+ Antonio Di Donna
Vescovo di Acerra