Restate a casa. È questo l’appello che le istituzioni per il bene di tutti stanno ripetendo continuamente per arginare il contagio del virus. È necessario accogliere questo appello per non aggravare la situazione già tragica.
La liturgia della IV domenica di Quaresima inizia con l’invito a rallegrarci e proprio in questo periodo lo troviamo fuori luogo. Ci troviamo in un clima di sofferenza, paura e morte, ci risulta difficile trovare motivi per rallegrarci. Questa è la seconda domenica con «Messe senza popolo e popolo senza Messa», preti che celebrano da soli e fedeli che pregano davanti ad uno schermo: non c’è l’incontro nello stesso luogo, ma la preghiera è diventata il luogo dell’incontro, tutti uniti alla stessa ora, in comunione e vale sempre quella promessa di Gesù: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Il Signore sta percorrendo il cammino con noi, ci «guida per il giusto cammino a motivo del suo nome», non ci fa mancare la sua presenza (cf Mt 28,20) e la sua grazia, ci illumina con la sua parola. Questo è un motivo per rallegrarci: Dio cammina con noi e mentre tutto si sta fermando, veniamo portati a grandi passi verso la Pasqua, verso la risurrezione. Preghiamo con fiducia le parole del Salmo: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza».
Come ogni domenica, anche oggi è imbandita per noi la mensa della parola. Dopo essere stati con Gesù nel deserto, sul monte, al pozzo, oggi andiamo con lui nel Tempio. C’è un po’ di agitazione, ad un cieco dalla nascita è stata data la vista. Un uomo gli ha spalmato del fango sugli occhi, si è lavato alla piscina ed ora ci vede. “Purtroppo” ha fatto tutto questo di sabato. E così invece di gioire e ringraziare il Signore, inizia una disputa, questo poveretto viene trattato da imputato, Gesù viene considerato un peccatore: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Eppure la sua opera è sotto i loro occhi: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Che tristezza non riuscire a vedere il bene che viene fatto: i pregiudizi, il legalismo fanno chiudere gli occhi, l’uomo si ferma all’apparenza (I lettura) e non riesce nemmeno a prendere atto della realtà, diventa cieco pur avendo gli occhi sani.
I farisei non si sono mai interessati di questo cieco e pure adesso non riescono a gioire per lui, a loro interessa la fredda legge, è stato violato il sabato, in questo giorno non si può fare niente (cf Es 34,21). Mettono un limite alla misericordia del Padre, ma per Dio non c’è un giorno di riposo per fare il bene (cf Gv 5,17; Lc 14,1-6), pretendono di dire a Dio anche quando deve amare e chi deve amare. La loro è una religione di regole e di precetti che invece di liberare imprigiona l’uomo (cf Lc 11,46) e paradossalmente lo allontana da Dio, quello vero. Non sono ciechi, ma si sono chiusi alla luce vera, quella che illumina ogni uomo perciò non vedono (cf Gv 1,9-10). Infatti, per vedere è necessaria la luce, nel buio gli occhi non “funzionano”. Così mettono Dio contro l’uomo, la legge ad impedimento del bene (cf Mc 7,8-13), ma per il Signore non c’è sabato che possa impedirgli di fare del bene all’uomo: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27).
Il cieco guarito, invece, si lascia illuminare, passa dalle tenebre alla Luce, considera i fatti: «ero cieco e ora ci vedo». Da qui inizia il suo cammino. Non ha chiesto nulla, è Gesù che lo vede e si ferma, il suo sguardo è attento su tutti, a partire dagli ultimi. La sua fede in Gesù cresce: lo riconosce come uomo (Gv 9,11), poi come profeta (Gv 9,17) e, infine, si affida a lui: «”Tu, credi nel Figlio dell’uomo?” Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui».
Anche noi, come dice S. Paolo, un tempo eravamo nelle tenebre, ma il battesimo ci ha fatti passare nella luce del Signore e siamo chiamati a restare sempre in Lui liberandoci anche da false immagini di Dio, come quella di un Dio che punisce(cedi la domanda dei discepoli, v. 2) e da una pratica legalistica, dall’idea di un Dio che sta fuori dalla vita e quando è necessario gli chiediamo qualcosa, per credere in un Dio che si è fatto uomo, pienamente coinvolto nelle nostre vicende e che sa di cosa abbiamo bisogno ancor prima che glielo chiediamo (cf Mt 6,8).
Chi è il nostro Dio? Sia per tutti noi il Padre di Gesù che ha tanto amato il mondo, che tanto ama questo mondo, da dare il suo Figlio per la nostra salvezza (cf Gv 3,16).
A lui ci affidiamo in questi giorni, ci prostriamo ai suoi piedi implorando per tutti la fine di questa epidemia, con la certezza di essere ascoltati.
don Alfonso Lettieri