«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce». Così inizia la liturgia della notte di Natale. Il popolo che camminava nelle tenebre: noi immersi nella notte e nelle tenebre del mal di vivere (la recente analisi del Censis parla della diffusione dell’ansia tra gli italiani); immersi nella notte di una politica sempre più autoreferenziale, lontana dai bisogni dei cittadini e ammantata di segni religiosi di facciata…; noi immersi nelle tenebre dell’indifferenza verso il bene comune. Immersi nella notte dell’inquinamento ambientale (nonostante gli sforzi delle Istituzioni, anche l’ultima estate è stata flagellata dai roghi tossici, il problema dei rifiuti è lungi dall’essere risolto, di bonifiche non si parla neppure, le centraline sul controllo dell’aria continuano a sforare, l’inceneritore è ancora lì e non si sa che cosa e quanto bruci…).
Sì, la notte è lunga, troppo lunga; la notte va riconosciuta per notte, con lucidità e realismo. Qualcuno vorrebbe non chiamare la notte per quello che è, cioè notte. Dobbiamo forse dire “facciamo finta che tutto va bene”, come cantava il ritornello di una canzone degli anni passati? Io penso che il nostro primo dovere sia quello di non mentire di fronte ai fatti. Dobbiamo guardare la realtà con occhi aperti. Anche nella Chiesa e nelle nostre comunità “il popolo cammina nelle tenebre”, e non mi riferisco solo alla “sporcizia” di cui parlava il Cardinale Ratzinger nel commento alla Via Crucis di qualche anno fa, ma alla religiosità ricca di devozioni e ritualismi ma carente di catechesi e di testimonianza; mi riferisco alla svendita della liturgia a buon mercato o arroccata a barocchismi puramente rituali ma che non è sempre esperienza del Mistero…
Perché tarda la promessa del Signore? Perché la nostra speranza è destinata ad essere smentita dai fatti? Anche i credenti delle prime generazioni cristiane facevano esperienza del ritardo della promessa e dovevano confrontarsi con le accuse degli scettici e dei cinici, di quelli che si fanno beffa della speranza cristiana:«Dicono gli empi: dov’è il tuo Dio?», «Dal giorno della creazione tutto rimane come sempre». Ma ancora prima è lo stesso Giovanni a mandare un’ambasceria da Gesù: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?». Conosciamo la risposta di Gesù: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» e quella delle prime generazioni cristiane: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina» oppure «Davanti al Signore mille anni sono come un giorno».
Oggi potremmo rispondere con le parole del Patriarca Atenagora: «Noi ci immaginiamo a volte che le cose si ripetano, monotone, nella storia. Certo, le nostre vite individuali sono troppo brevi perché possiamo percepire i progressi di ciò che si sta compiendo grazie allo Spirito di Dio» o anche con la bella riflessione del filosofo e scienziato Teilhard De Chardin: «Non scandalizziamoci più delle attese interminabili che ci ha imposto il Messia. Ci volevano le fatiche terribili e anonime dell’uomo primitivo, e la lunga bellezza egiziana e l’attesa inquieta di Israele e il profumo lentamente distillato delle mistiche orientali e la sapienza sempre più raffinata dei greci, perché il Fiore potesse sbocciare sul tronco di Jesse e dell’umanità».
«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce». «Oggi è nato per voi il Salvatore». I segni della venuta del Signore sono in mezzo a noi, esili ma vivaci. “Quante eccellenze” anche qui da noi. Tra i segni di luce di quest’anno mi piace evidenziare la crescita della sensibilità verso la salvaguardia del creato (e non mi riferisco solo a Greta e al movimento da lei suscitato). Certo siamo in un tempo di crisi della speranza, dalla nostra coscienza sembra sparita la certezza che la storia abbia una direzione, un senso. Viviamo un’esperienza frammentata, nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. È come se fossimo privi di radici e così rischiamo spesso di essere disorientati, stanchi, talora addirittura smarriti. La speranza, lo sappiamo, è un bene fragile. Come faceva rilevare lo scrittore francese Charles Peguy, essa sembra quasi invisibile: «La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle più grandi (la fede e la carità) e non si nota nemmeno… è lei, la piccola speranza, checonduce per mano le due sorelle più grandi».
Siamo in un tempo in cui la fede dei credenti è messa particolarmente alla prova. Auguro ai lettori del nostro giornale e a tutta la diocesi di crescere nella virtù della fortezza e della perseveranza («con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»). Infatti, senza che ce ne accorgiamo, la perseveranza accompagna ogni momento della nostra giornata. La vita stessa continua, giorno dopo giorno, perché perseveriamo. Alzarsi ogni mattina per andare a scuola o a lavoro, coltivare delle relazioni, vivere gli affetti sono cose semplici e quotidiane senza le quali però non potremmo esistere. Vi auguro quella perseveranza che ci fa impegnare per cose che non vedremo mai realizzarsi completamente, perché combattute da avversari potenti, o magari perché troppo difficili o perché lo spazio di una vita è troppo beve perché esse si compiano. «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente fame e sete della giustizia. Ma è sempre un grande destino» (Aldo Moro).
Il ritornello di un bel canto delle nostre assemblee di qualche anno fa canta così: «Io so quanto amore chiede questa lunga attesa del tuo giorno, o Dio. Luce in ogni cosa io non vedo ancora, ma la Tua Parola mi rischiarerà» (Symbolum).
Vi saluto con la bella preghiera del Cardinale John Henry Newman, recentemente dichiarato Santo: «Conducimi tu, luce gentile/ conducimi nel buio che mi stringe / la notte è scura, la casa è lontana / conducimi tu, luce gentile».
Buon Natale del Signore.
Antonio Di Donna
vescovo di Acerra