La gioia di rischiare la vita per il Signore

Pubblichiamo l’omelia del vescovo pronunciata durante la celebrazione eucaristica in cui sono stati ordinati sacerdoti don Gustavo Arbellino e don Raffaele D’Addio

Carissimi Gustavo e Raffaele, la vostra gioia di questo momento è anche la gioia del vescovo, del presbiterio, dei vostri genitori, parenti e amici, dell’intera diocesi di Acerra, dei vostri superiori, del Seminario, dei compagni che sono qui presenti e vi fanno corona, della Chiesa universale.

L’ordinazione presbiterale sigilla il vostri sì alla chiamata del Signore e dà inizio al secondo tempo della vostra storia: dopo il tempo dell’ascolto, comincia il tempo dell’annuncio, del servizio, della carità pastorale, del dono della vita.Tra poco – mediante l’imposizione delle mie mani e la preghiera consacratoria – riceverete la grazia dello Spirito santo che vi configurerà a Cristo buon pastore e imprimerà alla vostra vita una svolta definitiva. E proprio per sostenere la nostra preghiera, ci lasciamo aiutare dalla meditazione delle letture bibliche di questa quarta domenica di Pasqua, domenica del Buon Pastore.L’annuncio ad ogni uomo e a tutto l’uomo. Dalla prima lettura – tratta dal libro degli Atti, che scandisce tutto il tempo di Pasqua – ricaviamo per voi, e voi prendete per la vostra vita, l’esortazione alla missione, all’annuncio della Parola di Dio con passione, zelo e parresia, per usare una parla chiave di questo libro degli Atti, cioè con coraggio e franchezza. Annuncio, accompagnato dalla testimonianza della vostra vita. Cari Raffaele e Gustavo, non cercate altro, non cercate appoggi umani, solo Lui basta, solo la sua parola basta; non cercate nemmeno espedienti folcloristici, con cui talvolta si accompagna l’annuncio della parola o la celebrazione dei misteri, quasi credendo che con questi espedienti si possa essere più incisivi e rilevanti nelle emozioni della gente: non servono, sono superflui, non coltivate le emozioni, le sensazioni della gente, puntate più in alto, annunciate la parola del Signore, il Vangelo, solo il Vangelo e tutto il Vangelo all’uomo del nostro tempo, ad ogni uomo e a tutto l’uomo: nelle sue dimensioni spirituali, corporali, sociali, relazionali. L’agnello immolato e la moltitudine immensa. Dal testo dell’Apocalisse – la seconda lettura di stasera, il libro stupendo, anche se difficile, che ci accompagna in questo tempo di Pasqua dell’Anno C – vi accompagnino nel ministero due immagini: l’agnello immolato, il Cristo crocifisso e risorto, che mette insieme croce e gloria, perché il vostro ministero sarà segnato dall’una e dall’altra; e la moltitudine immensa, di cui parla l’Autore, che nessuno poteva contare, di ogni lingua, tribù, popolo e nazione. Il vostro sarà infatti un servizio cattolico, nel senso etimologico del termine. Cioè universale, un ministero per tutti, non per alcuni soltanto, non per i più bravi, non per i migliori, non per gli intelligenti, non per i forti, non per i potenti, non per gruppi chiusi; non dovete edificare una chiesa ghetto, chiusa in se stessa, una chiesa dei pochi ma buoni; dovete edificare una chiesa di popolo, una chiesa di tutti, perché per tutti il Signore ha sparso il suo sangue. Non mortificate il vostro ministero che oggi vi viene affidato solo per alcuni ma per tutti, la moltitudine immensa che nessuno poteva contare.Il pastore conosce e dà la vita per le sue pecore. E infine, il brano del buon pastore, tratto dal capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni, che quest’anno ne sottolinea due caratteristiche.Il pastore anzitutto conosce le sue pecore: abbiate sempre un rapporto forte, personale con tutte le persone. Non scadete mai a burocrati, funzionari. Ma siate guide, pastori che conoscono il proprio popolo, secondo l’immagine cara a papa Francesco, ormai divenuta abituale: «siate pastori con l’odore delle pecore, davanti al popolo per guidarlo, in mezzo al popolo per condividerne gioie e dolori, e dietro il popolo per evitare che si smarrisca qualche pecora del gregge». Il pastore dà la vita: fare il prete non è un mestiere, una professione, bensì è dare la vita, giocandosela per intero, non una parte di essa, non qualcosa ma tutto se stessi.Esortazioni e auguri. Permettete perciò che io racchiuda tutto questo in alcune esortazioni “veloci”, che vi rivolgo come auguri per il vostro ministero, caro Gustavo e caro Raffaele.La dignità di essere prete. Siate consapevoli anzitutto della grande dignità che oggi vi viene conferita. Non perdete mai di vista questa consapevolezza. Grande dignità essere prete!Amare il popolo. Amate di sincero amore il popolo di Dio, la Chiesa: papa Francesco e i suoi successori; il vostro vescovo, al quale stasera promette obbedienza; amate il presbiterio, i vostri fratelli nel sacerdozio, quelli simpatici e quelli antipatici, i giovani e i vecchi, quelli che la pensano come voi e quelli che non la pensano come voi: sono vostri fratelli, sono nati dallo stesso utero, il grembo della Chiesa, non allontanatevi mai dal vescovo e dal presbiterio, frequentate gli incontri, non dite mai che ci vado a fare, ricercate sempre la comunione con il vescovo e il presbiterio.Amicizia con il Signore. Coltivate l’amicizia con il Signore: sia martellante per voi ogni giorno la domanda chiave che Gesù fa a Pietro prima di affidargli il suo popolo: mi ami tu? Mi ami? Pasci! C’è un legame strettissimo tra l’amore al Signore e il pascere il popolo di Dio. Chi non ama non può pascere il popolo di Dio. Officium amoris pascere dominicum gregem: è un servizio di amore al Signore pascere il suo gregge (Sant’Agostino).Cristo umile e povero. Seguite, mi raccomando Raffaele e Gustavo, il Cristo umile e povero. Con uno stile di vita sobrio, mi permetto di dire anche nel vestire: non seguite le mode del momento. Certo, non sciatto, ma neppure troppo elegante. Siete modello della gente, soprattutto per la povera gente che spesso non riesce ad arrivare a fine mese, e voi siete guide di un popolo povero. Non attaccatevi al denaro, ai soldi. Non adagiatevi da borghesi nella sicurezza del bonifico mensile del sostentamento del clero. Amate i poveri.Vigilanza. Vigilate su voi stessi, sulla vostra affettività, sulle vostre emozioni, sulle relazioni che instaurate: amate il Signore con cuore indiviso, attaccatevi alla gente, amatela di sincero amore ma il Signore viene al di sopra di tutto. E in quest’epoca turbolenta mi permetto anche di invitarvi a vigilare sull’uso dei social e dei media. Usate questi strumenti per il grande bene che si può fare con essi, ma attenzione a non diventarne schiavi.Solleciti verso il popolo di Dio. Abbiate cura del popolo che vi verrà affidato. Non come padroni del gregge, né con mentalità clericale. Rispettate i laici, riconoscete che essi, in virtù del battesimo hanno il diritto dovere di partecipare alla vita della Chiesa, non per gentile concessione di noi vescovi e preti. Abbiate una cura assidua della parrocchia, adesso da vicari e domani da parroci. Non part time, per marcare il cartellino in un ristretto orario, ma come servi premurosi del popolo. Uscite, non rimanete chiusi in Chiesa, non siate funzionari né burocrati. Vi affido, soprattutto, lo sapete, i ragazzi, i giovani, perché un prete giovane, un seminarista deve amare i ragazzi, i giovani; se un prete giovane, un seminarista, non sta in mezzo ai giovani, cosa si può pretendere da lui quando avrà cinquant’anni? Andateli a cercare, state con loro nelle piazze per le strade, educateli, portateli a Cristo, siano essi, i nostri ragazzi e i nostri giovani che si stanno sempre più allontanando dalla Chiesa, al primo posto delle vostre preoccupazioni pastorali. Accompagnate, integrate nella comunità le persone che sono ferite nel cuore, che sono state colpite dalla vita. Siate ministri della misericordia del Signore, che è venuto a cercare e a salvare chi era perduto. Siate ministri di misericordia, non condannate, siate strumenti della tenerezza di Dio. Mai rigidi, mai burberi, mai scontrosi, non rigoristi né lassisti. Accompagnate il peccatore nella sua notte, perché veda la luce.Non trascurate però voi stessi. Siate fedeli ad una regola di vita che metta insieme con equilibrio il tempo della preghiera, il tempo del ministero e il tempo del necessario riposo. Coltivate lo studio, le letture, l’aggiornamento, soprattutto la formazione permanente. Non è mai tempo sottratto al ministero il tempo dedicato allo studio, alla formazione, alla preghiera. Il popolo di Dio ha diritto a guide che siano aggiornate, intelligenti, che sappiano parlare di Dio all’uomo adulto del nostro tempo. Meditate la parola di Dio, soprattutto al fine di una predicazione intelligente, seria, un’omelia incarnata, fedele a Dio e agli uomini del nostro tempo, perché, come dice papa Francesco, «chi non prepara l’omelia è disonesto di fronte al popolo di Dio». Siate gioiosi. Tutto questo fatelo con la gioia nel cuore, la gioia del Vangelo. Fuggite la mediocrità del compromesso, fuggite l’accidia, quel vizio capitale, quella malattia dell’anima di cui parlavano i padri del deserto e che oggi ahimè è ritornata attualissima: la pigrizia, lo svuotamento interiore, quel continuare a fare ogni giorno le cose di sempre ma senza crederci più, è il vero tarlo dell’animo. Fuggite quello che il santo papa Paolo VI, nel 1959 quando era ancora arcivescovo di Milano, raccomandava ai suoi preti: fuggire il calcolo del minimo sforzo, l’arte di evitare le noie, il sogno di una solitudine dolce e tranquilla, la difesa del dovuto e non di più, gli orari protettivi della propria e non l’altrui comodità. Celebrate bene l’eucarestia. L’ho messa alla fine, ma è l’esortazione principale: celebrate bene la messa, non fate l’abitudine alle cose di Dio, non siate delle macchine – messe su messe, sacramenti su sacramenti – rischiando di perdere il senso del mistero di Dio santo, santo, santo, che si fa carne nelle nostre mani. Celebrate bene la messa e i sacramenti, rispettate le norme liturgiche, obbedite alla Chiesa, che se nella sua saggezza ha disposto un regolamento, delle norme, per la celebrazione dei santi misteri, lo fa con giudizio, per mandato del Signore. Non prevalga la vostra opinione sulla norma della Chiesa, non prevalga il vostro capriccio e la vostra voglia di fronte a quello che è legge della Chiesa.L’ultima parola ai giovani. Permettete alla fine, cari Gustavo e Raffaele, che io rivolga un’ultima parola non a voi, ma ai carissimi giovani, a quelli presenti a questa celebrazione, soprattutto a quelli che io so hanno nel loro cuore in questo momento un piccolo seme, un piccolo germe. E la prendo dal messaggio di papa Francesco per questa giornata mondiale di preghiera per le vocazioni dal titolo bello, stupendo: Il coraggio di rischiare per la promessa di Dio.Cari giovani, non c’è gioia più grande che rischiare la vita per il Signore, condividere con Lui la passione per il regno della giustizia, della verità e della pace. A voi giovani – dice il papa – vorrei dire: non siate sordi alla chiamata del Signore. Se egli vi chiama per questa via non tirate i remi in barca, fidatevi di Lui, fidatevi. Non fatevi contagiare dalla paura che paralizza e blocca. Date un senso, un senso pieno alla vostra vita. Ricordate sempre che a coloro che lasciano le reti e la barca per barca per seguirlo, il signore promette la gioia di una vita piena di una vita nuova. Fidatevi, lanciatevi, rischiate, la vostra vita per la promessa di Dio. Amen. Cattedrale di Acerra, domenica 12 maggio 2019Antonio Di Donna

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