Alla vigilia del triduo pasquale, centro e cuore della fede cristiana, siamo chiamati a coltivare «lo sguardo giusto» di fronte allo scandalo della «Croce di Gesù». Che è quello del soldato pagano, il centurione romano: «Veramente era un uomo giusto».
Lo ha detto il vescovo Antonio Di Donna la scorsa domenica delle palme, all’inizio della settimana santa che stiamo vivendo. Il presule si è soffermato sui «diversi sguardi e sulle differenti reazioni», invitando ciascuno a trovare «il nostro personale modo di stare di fronte alla Croce del Signore». Spesso, infatti, noi facciamo lo slalom, passando da uno sguardo all’altro sbagliati. In particolare monsignor Di Donna si è soffermato sullo «sguardo della folla, facilmente manipolabile da persuasori occulti o palesi, scaltri a darle in pasto il nemico e ad infiammarla». Eppure, ha continuato il vescovo, «la verità non sta nei consensi plebiscitari, che spesso manifestano cattive manipolazioni di massa». Non a caso, «il popolo stava a vedere con lo sguardo curioso di uno spettatore, senza coinvolgersi», trasformando la Croce di Gesù in uno spettacolo», ha ancora detto il presule, richiamando il rischio che anche le nostre diverse rappresentazioni sacre di questi giorni possono correre.
Accanto al popolo c’è poi lo sguardo dei «capi» dei «soldati». Essi, ha detto il vescovo, lo schernivano perché incapaci di cogliere la diversità, «l’assurdo di un Dio che salva gli altri e non se stesso», uomini «privi di lacrime e tenerezza perché abituati al dolore degli altri», piuttosto che al proprio.
E poi c’è lo sguardo dei «conoscenti» di Gesù, i quali «assistono da lontano agli avvenimenti, impietriti, fisicamente distanti, mentre crolla la speranza di una possibilità nuova di vivere».
A distanza di duemila anni, ha chiosato il presule, «le reazioni diverse e sbagliate verso le nostre città oggi sono purtroppo le stesse».
Ma per monsignor Di Donna c’è la «consolazione», da andarsi a cercare all’inizio del racconto della Passione, quando «lo sguardo di Gesù si posa su Pietro che lo ha rinnegato». Uno sguardo, ha detto il vescovo, che «guarda dentro in profondità, senza condanna», provocando «le lacrime e il cambiamento» del discepolo. Perciò l’invocazione: «Grazie Gesù per aver messo a capo della Chiesa un uomo che piange», capace di versare «le lacrime del pentimento prodotte dal Tuo stesso sguardo», lacrime che «lo salvano».
Infine l’esortazione: «Incrociamo con il nostro sguardo imperfetto quello di Gesù verso di noi che ci salva, e beati noi se provocherà le nostre lacrime. Beati quelli che ancora piangono, si coinvolgono e si commuovono, e non sono diventati cinici», perché «lo sguardo di Gesù provoca e sconvolge i nostri sguardi contrastanti». E se le folle si battevano il petto tornando a casa, anche noi siamo chiamati ad «abbandonare i nostri sguardi di indifferenza e di spettatori verso la Passione di Gesù Cristo, degli uomini e della nostra città».
Antonio Pintauro