L’ultimo saluto al vescovo Riboldi: pastore secondo il cuore di Cristo

Un «pastore secondo il cuore di Cristo», che per ventuno anni, dal 1978 al 1999, ha guidato una diocesi rimasta in precedenza senza vescovo; un «grande costruttore di Chiesa» attraverso «il lavoro paziente di ricomposizione del clero frammentato e il rilancio del laicato».
 
E’ il modo migliore, per il vescovo di Acerra monsignor Antonio Di Donna, di ricordare il vescovo emerito monsignor Antonio Riboldi, morto a 94 anni domenica scorsa; ed è la strada per essere «degni custodi» della sua eredità in un «rinnovato impegno pastorale e civile», perché «solo il Vangelo e tutto il Vangelo, il più potente fattore di rinnovamento dell’uomo e della storia», ne ha ispirato il ministero.
 
La Chiesa di Acerra ha reso ieri l’ultimo omaggio al suo vescovo emerito «don Antonio» nella Cattedrale, dove al termine della Messa esequiale la salma è stata tumulata come il presule aveva chiesto.
 
Il vescovo monsignor Antonio Di Donna, che ha presieduto la celebrazione, ha ricordato i “tratti” del pastore e le “fonti” da cui egli traeva la forza per farsi «profeta che scuote le coscienze ed educa il popolo alla speranza», e anche per compiere «gesti concreti di liberazione», prima a Santa Ninfa nel Belice terremotato e poi ad Acerra nella lotta alla camorra.
 
E la prima fonte è la «relazione personale» d’amore con il Signore e la «frequentazione della sua Parola». Perché, ha detto Di Donna, «amare il Signore e pascere il suo gregge» vanno sempre insieme, perciò l’opera di monsignor Riboldi è soprattutto un «servizio d’amore».
 
Ma egli è stato anche «l’uomo del Concilio ad Acerra» traducendo gli «orientamenti della Chiesa italiana nel cammino» diocesano, per coniugare «evangelizzazione e promozione umana».
 
Di Donna ha anche ricordato quanto monsignor Riboldi «ripeteva che la denuncia delle ingiustizie e della malavita non era contro qualcuno ma sempre un invito alla conversione rivolto a tutti, soprattutto peccatori».
 
Infine, la capacità del presule defunto di rispondere con generosità alle «diverse chiamate» della vita: «brianzolo» di origini, e fedele alla regola dell’«intelligente indifferenza» della sua Congregazione rosminiana, egli è stato «un vescovo fatto popolo», capace di essere prima «siciliano con i siciliani» e poi «acerrano con gli acerrani», ha concluso Di Donna.
 
Nelle ore che hanno preceduto i funerali, la salma di monsignor Riboldi è stata salutata da migliaia di fedeli in Cattedrale, dove martedì il Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Conferenza episcopale campana, ha presieduto una preghiera definendo il vescovo defunto «un buon pastore che ha dato la vita per le sue pecore».
 

Antonio Pintauro